L’AVVENTO DEL ROCK nel Musical…

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Dopo il rodaggio sulle scene o sullo schermo, il song da musical si afferma persino fuori dal contesto teatral- cinematografico, diventando fenomeno di massa grazie a recital, concerti, dischi e radio, trampolino di lancio per nuovi interpreti, spunto per improvvisazioni jazz, grazie all’efficace connubio tra romanticismo di fondo, soprattutto nel tema principale e nella linea melodica, e qualche innovazione sul piano ritmico o negli arrangiamenti orchestrali;in tal senso le ballade o i pezzi lenti quasi si identificano con il repertorio dei cosiddetti corner (Bing Crosby, Frank Sinatra, Nat King Cole etc.) in voga in quegli anni, mentre i brani più veloci posseggono l’energia e la vivacità dello swing, dell’hot jazz, talvolta del bluegrass e dell’hillbilly.
Tutto questo sistema viene però messo in crisi dall’avvento del rock’n roll a metà degli anni ’50. Di fatto con il successo del rock, come sonorità giovanile in tutto il mondo, va di pari passo il declino, sia pur momentaneo, del musical quale genere filmico soprattutto nei gusti delle nuove generazioni ribelli.
Il ritorno del musical come fenomeno di costume in grado di attrarre di nuovo le masse di spettatori a teatro o al cinema, avverrà solo nella seconda metà degli anni ’80. Nel frattempo tra gli anni ’50 e ’80 per circa tre decenni, accadde che il musical cinematografico (come quello teatrale) sia alla ricerca di una propria identità. Con l’avvento del rock, la prima grande novità del musical riguarda la trasposizione su grande schermo di nuovi eventi teatrali, costruiti attorno alla cultura rock giovanile: nelle varianti hippie, trash, glam, le musiche di Jesus Christ Superstar composte da Richard O’Brien non rinunciano al meccanismo del musical classico o della canzone, ma li rinverdiscono, appunto il rock nel timbro, nei ritmi, negli strumenti musicali, negli arrangiamenti, nel modo di cantare e suonare.
Con il rock, nel musical, in quegli anni succede persino l’operazione inversa: alcuni rocker sperimentano una teatralizzazione della propria musica, componendo le cosiddette rock-opera, di solito concepite prima su disco e dopo sul palcoscenico. Quest’intrusione del rock nel musical fa capire che, già sul finire degli anni ’70, vanno imponendosi altre inedite soluzioni all’uso della musica nel cinema musicale. Tre pellicole risultano illuminanti al proposito.
Anzitutto La febbre del sabato sera che nel glorificare il boom delle discoteche, usa da un lato canzoni già note, dall’altro pezzi destinati al successo radio- discografico in parallelo o anche dopo quello del film: per raccontare la discoteca, filo conduttore di amori, speranze, illusioni, il pop-dance di Stayn’Alive e Night Fever, congeniali anche a un modello coreografico, dove il ballo è quanto di più lontano si possa immaginare dalla tradizione cinemusicale. Grease e Hair invece portano nel musical cinematografico il fenomeno revival o nostalgico, con belle canzoni, anche se hanno storie tra loro differenti in merito alla collocazione storica delle vicende inscenate. Hair è un film girato un pò in ritardo, quando il movimento hippie, da cui trae origine la storia, è concluso da qualche anno; Grease vanta un distacco cronologico maggiore, in quanto il soggetto è strutturato su un’epoca ancor più lontana nella consapevolezza di essere vintage, canto e danza in Grease riprendono gli stilemi del primo rock’n roll, quando nell’immaginario collettivo, arrivano a soppiantare i song di Broadway o di Hollywood. 

 

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