IL RAPPORTO TRA MUSICAL E JAZZ FINO AGLI ANNI 1950

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A livello musicale va spiegato che il musical non è jazz: semmai, un certo cinema americano fra gli anni ’30 e ’50 da un lato contiene famosi brani di grandi songwriter come George Gershwin, Cole Porter, Irving Berlin, Jerome Kern, Rodgers & Hart, che i jazzmen poi usano come standard per le improvvisazioni; dall’altro l’arrangiamento ed il costrutto del brano medesimo, non si fondono sui ritmi sincopati o sui timbri distorti, ma traggono solo indirettamente ispirazione dalla musica afroamerica, perché quelle del musical rimangono in sostanza song classiche debitrici, sul piano armonico e melodico più della tradizione melodrammatica e operistica, che non della moda imperante di swing, ragtime, dixieland, blues, jump e boogie.
Una parvenza di sound jazzistico nei primi musical si incontra ne Il re del Jazz del 1930, primo technicolor, con episodi dedicati a Paul Whiteman, miliardario direttore bianco di una sdolcinata orchestrina ritmo sinfonica.
Per avere un’idea concreta della musica delle genti di colore bisogna guardare Hallelujah del 1929 di King Vidor è un resoconto appassionato e struggente sugli spiritual a metà fra documento e narrazione. E’ l’inizio degli “all negroes movie” sottogeneri destinato al pubblico nero, di livello mediocre, tranne le eccezioni di Verdi pascoli del 1935 con l’Hall Johnson Choir che esegue i canti religiosi, e Due cuori in cielo del 1943 Vincente Minnelli, musical di colore basato su folk chiesastico e sulla partecipazione di jazzisti come Due Ellington e Ethel Waters, oltre al solito Louis Armstrong nelle vesti di attore.
E’ proprio il musical, genere forte della cinematografia degli anni ’30 e ’40, ad accogliere intermezzi di sapore jazzistico in ogni film, scelta spiegabile con parecchie affinità tra le due tradizioni spettacolari: il jazz ribattezzato swing attinge al repertorio melodico di Broadway, le cui messinscene, vengono trasposte a Hollywood, valorizzandone gli aspetti coreografici, stilistici e canzonettisti.
L’elenco dei musical accostabili al jazz grazie alla presenza dei divi dello swing sarebbe lunghissimo, citiamo Hellzapoppin del 1940 dove troviamo i tre facchini (jazzmen Slim Gaillard, Slam Stewart e Rex Stewart) che improvvisano sugli strumenti da predisporre per il concerto, mentre una coppia di camerieri, sempre di colore, danza un frenetico boogie. L’apparizione di Louis Armstrong in High Society del 1956 in mezzo ai divi crooner, Bing Crosby e Frank Sinatra (e Grece Kelly) chiudono l’epoca del mettere insieme i tre volti del canto jazz alla clownesca negritudine. A parte queste stravaganti eccezioni, il jazz presente nel musical è quasi sempre bianco, trattenuto e commerciale, lo stesso Porter aveva girato l’anno prima Follie di Jazz, classico musical dove Fred Astaire è un improbabile trombettista che si fa assumere nella big band di Artie Shaw, analoga sorte tocca al divo melodico Bing Crosby nei panni di clarinettista in Bith of the Blues. 

Gabriella Spagnuolo

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