Alien approdava nelle sale italiane il 25 ottobre del 1979: esattamente quarant’anni fa.
Ricco di sequenze ormai iconiche, con la regia del britannico Ridley Scott (qui alla seconda esperienza, dopo I duellanti), il film può essere ufficialmente considerato padre dell’horror fantascientifico. Grazie ad un montaggio lento, indispensabile allo sgocciolio della paura, rimane inoltre il migliore capitolo della saga basata sullo Xenomorfo.
Centrale la figura del mostro che, scoperto per caso su un pianeta sconosciuto, vive un’aberrante metamorfosi, dapprima come parassita e poi come creatura sanguinaria. Ne fa le spese l’equipaggio di un’astronave.
L’estetica dell’artista svizzero Hans Ruedi Giger, percorsa da forme e da geometrie che assemblano un surrealismo macabro e biomeccanico, definisce la dimensione prepotentemente notturna della pellicola. L’intero massacro si consuma nelle profondità di un labirinto spaziale, un dedalo di scenografie uterine e opprimenti, dove prevalgono il buio e la penombra.
Anche quando rischiarano i luoghi, le luci appaiono asettiche e neutrali, facendo così risaltare le brusche esplosioni di sangue. Persino le musiche, efficacemente composte da Jerry Goldsmith, vengono spesso sostituite dai soli rumori metallici e sibilanti dell’astronave.
Siamo ben lontani dall’armonia neoclassica di 2001: Odissea nello Spazio (1968), del quale Alien eredita comunque un certo realismo metafisico.
Vero precursore è piuttosto Terrore nello spazio (1965) di Mario Bava, la cui rappresentazione del contagio e del disfacimento corporeo su scala cosmica verrà ampiamente ripresa e sviluppata durante i due decenni successivi, nel solco del New Horror, da autori come Carpenter o Cronenberg.
Allora il vantaggio più grande deriva dal mostrare a stento la fisionomia della creatura predatrice (concepita da Giger insieme al nostro Carlo Rambaldi, entrambi vincitori dell’Oscar per i Migliori effetti speciali), attraverso dettagli, primissimi piani, apparizioni improvvise e subito nascoste, alle cui assenze sopperisce la fantasia dello spettatore incalzata sempre più dal terrore, che è lo stesso terrore dell’equipaggio braccato a bordo della Nostromo. Nulla, infatti, riesce a turbarci come ciò che sfugge al nostro bisogno di figurazione integrale. Una strategia vincente ancora oggi, dopo quarant’anni.
La semplicità della storia, assolutamente necessaria ai fini del pathos, lascia irrisolti alcuni misteri, i quali contribuiscono all’angoscia e alla torbidezza complessiva (con buona pace delle goffe spiegazioni offerte dai due recenti Prometheus e Alien: Covenant); mentre gli enigmi dei personaggi si svelano secondo i tempi più opportuni, grazie alla sceneggiatura ben congegnata di Dan O’Bannon.
Tra gli interpreti, impossibile non menzionare Ian Holm, dall’ambiguità sottile e perturbante: una sorta di HAL 9000 in versione pseudoumana.
Ma è naturalmente Sigourney Weaver a dominare la scena, eroina agguerrita che non ha bisogno di controparti maschili. Nel ’79 aveva appena trent’anni, e per la prima volta calcava un set cinematografico (sebbene fosse già nota negli ambienti teatrali newyorkesi). Non sapeva di trovarsi alle soglie dell’incubo che l’avrebbe tenuta impegnata per quasi vent’anni ed altri tre film, nessuno dei quali diretto più da Scott.
Emanuele Arciprete
ALIEN
Voto: 10/10
Anno: 1979
Regia: Ridley Scott
Paese di produzione: Regno Unito, USA
Soggetto: Dan O’Bannon, Ronald Shusett
Sceneggiatura: Dan O’Bannon
Fotografia: Derek Vanlint
Montaggio: Terry Rawlings, Peter Weatherley
Musiche: Jerry Goldsmith
Effetti speciali: Carlo Rambaldi, Hans Ruedi Giger
Scenografia: Michael Seymour
Costumi: John Mollo
Interpreti: Sigourney Weaver, Ian Holm, John Hurt, Tom Skerritt, Yaphet Kotto, Veronica Cartwright
Genere: Fanta-horror