«Le dodici figure che in scena interagiscono con i protagonisti sono lo specchio delle emozioni passate e future… Spettatori e attori al tempo stesso, fantasmi accondiscendenti degli Amanti che Furono e che saranno. Così Fan Tutte è una riflessione profonda sull’essenza del nostro essere: Noi siamo attraverso lo sguardo degli altri».
Sono le parole di Chiara Muti, regista di “Così fan tutte” che ha inaugurato la stagione di Opera e Balletto del Teatro di San Carlo con la direzione del maestro Riccardo Muti, tornato sul podio del Massimo napoletano per un titolo operistico, dopo ben 34 anni di assenza.
L’opportunità di assistere alla prova generale, della quale diamo recensione, ha permesso a molti giovani di vivere, persino con un emozionante anticipo, la magia di un’inaugurazione.
Spettatori di eccezione sono stati i ragazzi ospiti del carcere minorile di Nisida, luogo di creatività, oltre che di recupero, visitato dal maestro Muti, che ne è stato impressionato e al quale ha donato un momento musicale con gli interventi di Domenico Colaianni , Rosa Feola e Francesca Russo Ermolli.
Gioco, favola, educazione sentimentale sono le coordinate della lettura di Chiara Muti del dramma giocoso di Mozart, ultimo della trilogia su libretto di Lorenzo Da Ponte, presentato in una coproduzione con la Wiener Staatsoper, con le scene di di Leila Fteita e gli eloquenti costumi di Alessandro Lai.
L’azione scenica è trasportata in un’epoca indefinita e i riferimento a Napoli sono più suggestioni che immagini, se si eccettua il mare che domina, assumendo coloro cangianti, il fondale della scena.
Gioco, favola, mito e letteratura dal tennis a Cenerentola, da Cappuccetto rosso a un Cuoido in mongolfiera fino al Libro dei Libri con la tentazione biblica di Adamo; tutto coerente con la narrazione della perdita dell’innocenza, del disincanto.
Non si pensi, però, ad una messa in scena freddamente intellettuale, perché l’interazione tra i personaggi è stretta anche nella fisicità e curata nei dettagli che caratterizzano ciascuno.
Educatore disincantato è stato un bravissimo Marco Filippo Romano nel ruolo di Don Alfonso, misurato e accorto nei concertati e timbricamente curatissimo.
Maria Bengtsson ha esibito una voce cristallina nell’acuto, ma poco presente nel grave, mentre Paola Gardina ha saupo essere passionale senza smarrire mai eleganza, nella parte di una fremente Dorabella, dal colore chiaro.
Guglielmo si è avvalso della voce baritonale brillante di Alessio Arduini e Ferrando, con qualche timidezza tradottasi in incertezza nel primo atto, ha avuto fattezze e voce di Pavel Kolgatin.
Emmanuelle de Negri ha raccolto applausi nell’interpretare una vivace e maliziosa Despina con attidudini trasformiste esilaranti.
Buona prova del Coro diretto da Gea Garatti Ansini.
Il maestro Muti ha saputo dare eleganza, sincronismi e bilanciamento tra le sezioni ad un’Orchestra in eccellente forma e particolarmente pregevoli sono risultati, nella complessiva eccellenza, i numeri concertati in cui soli e buca hanno creato immagini sonore memorabili. Ben tornato, Maestro.
Mariapaola Meo