L’onesto Simon Boccanegra del TCBO mette tutti d’accordo

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«Siamo tutti figli della stessa Madre Italia». Così si rivolgeva Francesco Petrarca al Doge di Genova Boccanegra in una missiva di metà XIV secolo esortandolo ad evitare una guerra fratricida. Verdi decise di partire proprio da questo inciso per riscrivere il Boccanegra che non aveva riscosso successo nella prima versione veneziana del 1859.
Per anni l’editore Ricordi cercò invano di convincere il compositore a rimettere mano alla partitura ma la lunga serie di rifiuti categorici fu interrotta solo dal felice incontro con il letterato Boito: il sodalizio tra il maturo musicista ed il giovane e librettista d’avanguardia, che stava per segnare una nuova epoca di successi verdiani diede nuova ispirazione e vis compositiva all’autore.
Così la versione veneziana, definita da Boito all’inizio del lavoro di revisione «un tavolino che tentenna» riscosse un buon successo già dopo la nuova prima scaligera del 1881.
Ma il motivo non fu solo drammaturgico o musicale. Il popolo italiano stava maturando una più profonda consapevolezza necessaria a liberare l’Italia dal dominio straniero per affermare una repubblica realmente democratica e la seconda versione del Boccanegra ben si sposava con il momento storico.
In una Genova dilaniata da faide popolari, con la guerra contro Venezia alle porte, viene eletto primo Doge di Genova Simon Boccanegra, rappresentante del popolo. Morì avvelenato cercando di pacificare fratricide faide interne ed evitare la guerra con Venezia.
Riuscirà almeno il Simon bolognese a mettere tutti d’accordo? L’opera- realizzata in collaborazione con il Teatro Massimo di Palermo- è tornata al massimo felsineo dopo ben undici anni. Questa versione non passerà agli annali per essere stata innovativa o visionaria. Le scene di Guido Fiorato sono state costruite attorno a un piano inclinato con una pavimentazione a ciottoli a cui, di volta in volta sono stati aggiunti elementi per richiamare le varie ambientazioni. Il risultato nonostante sia sobrio e gradevole è destinato a cadere nel dimenticatoio nel giro di pochi mesi per l’assenza di elementi che abbiano suggestionato la platea. Anche la regia di Giulio Gallione si è mossa nel solco di un sicuro dèjà vu piuttosto classico. Pur volendo essere pignoli non possono essere segnalate né sbavature, né scelte sbagliate e questo allestimento si muove nel recinto di onesto e gradevole artigianato.
Dello stesso tono è la misurata direzione di Andriy Yourkevic. Sebbene siano state ridotte al minimo le escursioni ritmiche e dinamiche, questo Simon Boccanegra è ben suonato e gli ottoni del comunale sembrano più in tiro del solito. Nulla da eccepire.
E gli attori? Il cast della recita di Domenica 15 Aprile non ha mai sfigurato senza, però, mai sublimare.
Il baritono Dario Solari è stato un Simon Boccanegra solido dotato di buona tecnica vocale e gran volume. Il timbro non lo ha di certo aiutato nei passaggi più gravi che, nonostante la grande precisione, hanno peccato di corpo. Probabilmente si è mosso in un territorio a lui non esattamente congeniale ma, al netto di queste considerazioni, l’interpretazione ci ha soddisfatto senza strabordanti entusiasmi.
Più convincente è stata la prova di Yolanda Auyanet che doma le mille insidie del ruolo di Amelia Grimaldi.
La voce è sempre stata bella nella parte centrale del registo. Ottima la potenza degli acuti, nonostante qualche asprezza.
Veniamo agli altri personaggi. Convincenti sia il tenebroso e mefistofelico Paolo Albani di Simone Alberghini che il mellifluo Adorno di Stefan Pop. Ma il vero mattatore della serata è stato Michele Pertusi che ha suggestionato il pubblico con un fiero Jacopo Fiesco.
Discorso a parte meritano i bei momenti corali diretti dal maestro Andrea Faidutti che risultano ben preparati sia scenicamente che musicalmente.
Non sarà stato messo in scena come il più epico degli eroi e la recita non è sembrata musicalmente immortale ma anche un onesto Simon Boccanegra ha potuto mettere d’accordo la platea bolognese. Il pubblico ha salutato la recita con molti e frequenti applausi.
La recita del TCBO ci ha insegnato che a volte basta un sovrano serio, professionale e misurato per mettere d’accordo un popolo diviso. Confrontandoci, però, con la cronaca dei quotidiani il ritorno alla realtà è deprimente.
Saremo pur sempre figli della stessa Madre Italia per dirla alla Petrarca, ma troppo spesso o non ne abbiamo consapevolezza o ce ne dimentichiamo. Ma quella politic è tutt’altra vicenda e qui non si avvistano Simon Boccanegra all’orizzonte. To be continued.

Ciro Scannapieco

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