Per vivere e consumare l’amore occorre coraggio e serve buon gusto e sensibilità per allestire una messinscena che parlando e rendendo realisticamente la carnalità, la fisicità di una relazione omosessuale non scada mai nella compiacenza dell’esibizione e la volgare retorica che aleggia quando a raccontarla sono i corpi nudi. Benedetto Sicca attore e regista insieme a Francesco Aricò è al Ridotto del Mercadante di Napoli dal 24 al 29 ottobre 2017 con la sua ripresa drammaturgica di un testo di G. Patroni Griffi ambientato durante la Seconda Guerra Mondiale. La morte della bellezza vede protagonisti due uomini, distanti per ceto e per età, Lilandt ed Eugenio «Due giovani per adesso grazie a dio inutili alla società, destinati ad amarsi»
Sullo sfondo alla vicenda Napoli «il cui segno distintivo era, fino a quaranta anni fa, la bellezza» e “il cui primo bersaglio da colpire, per distruggerla è stata la bellezza», oscurata, bombardata, ferita, ma ancora vitale e prodiga di emozioni. Tutto parte dal testo, dalla scrittura che ha una forza dirompente, diretta nel raccontare desideri, attese, vergogna, sensi di colpa inevitabili, la paura di mettersi a nudo, le fughe e i ritorni. L’amore s’impone con i suoi rituali che infrangono codici e ruoli e convenzioni espresso in una lingua che non teme l’oscena rappresentazione di un amplesso, di intime esplorazioni, di carezze tenere o rapaci, di bocche incollate.
«L’amore tra due uomini non ha altra creatività che l’approfondimento del mondo dei sensi, la sua esplorazione, la sua esaltazione».
Liberamente le pagine palpitano di una trasfigurazione che rende il sesso poesia, percorso di conoscenza, esperienza spirituale che si nutre nella carne e della carne: «Eugenio si sentì cadere addosso tutte le rose di maggio del suo giardino, quelle labbra aggressive, spudorate erano gli stessi petali fragranti che si attaccava sulla bocca durante i suoi giochi infantili».
Gli occhi si riconoscono come impronte digitali, gli innamorati fluttuano in una trama di rose, la potenza dell’amore insaziabile, intenso, nato tra un cinema mal frequentato e giardini abbandonati, ha l’urgenza e la disperazione che il terrore della morte genera ma il tempo esigerà il suo tributo…
Benedetto Sicca ha saputo delicatamente ricreare sulla scena con dei mezzi minimali, l’atmosfera lacerata di una città e gli struggimenti dei due amanti partecipando il pubblico delle loro schermaglie ed intimità. La sua viscerale interpretazione insieme a quella di Aricò restituisce attraverso gli atteggiamenti, il timbro della voce, i gesti, i caratteri e la psicologia dei protagonisti del romanzo; uno più maturo e pacato, disvelato melanconicamente a se stesso, l’altro adolescente agitato, sconcertato dalla rivelazione di una passione fuori dalla norma (siamo nel 1942!) che poi vivrà con dedizione sino all’epilogo.
Anche i costumi descrivano molto efficacemente e lo stile dell’epoca e le differenze dei protagonisti. Scenicamente Luigi Ferrigno opta per una dimensione spaziale che segue lo sviluppo interiore dei due: il sentire nascosto, le ansie, le nevrosi, il timore di esser scoperti trasforma il palco in un luogo con spazi invisibili:il pavimento è alcova, piccoli cassetti celano oggetti, ante e disegno luci (Mauro Giusti) concorrono ad una discrezione necessaria per non rendere lo sguardo del pubblico voyeuristico.
Da vedere.
Dadadago