La Grande Guerra, fu una guerra di trincee scavate sull’altopiano carsico, sequenza tra il 1915 e il 1917 di drammatiche battaglie combattute dagli italiani, anche ad alta quota e durante la ritirata in seguito alla sconfitta di Caporetto.
Questo lo sfondo della messa in scena Terra di nessuno nella produzione del T.I.M. Teatro Instabile di Meano, ispirata dall’omonimo romanzo del ravennate Eraldo Baldini, con un’esclusiva di rappresentazione per la compagnia trentina. La tematica è terribile e dolorosa, anche se i colpi più indigesti si accuseranno a spettacolo inoltrato. L’inizio è attenzione ai caratteri dei protagonisti, reduci della guerra, che trasmettono la ruvidezza del mondo contadino d’origine, ma si tratta soprattutto di sopravvissuti. Il tema, infatti, è affrontato dall’angolazione di chi ritorna dal fronte, Settimio è il più anziano, Adelmo il più ribelle, Enrico l’innamorato e Martino l’instabile, i loro volti sbucano da tondi di luce creati dai riflettori, il corpo e la scena sono avvolti in un buio pesante, recitano al pubblico brevi passi del romanzo, è l’inizio dello spettacolo. Un anticipo del disagio che esploderà nel bosco, i quattro infatti decidono di ritornare alla normalità, affittando un pezzo di terreno per lavorarci come carbonai. Quel bosco chiamato delle ‘facce’, luogo isolato dove la condivisione sarà misteriosamente disturbata, non li risparmierà dalla memoria del passato. La storia nel bosco è una ricerca continua di provviste di cibo che non arriva, la solitudine e l’attesa dei compagni che si allontanano per cercare da mangiare, l’essere circondati da una natura che appare minacciosa, sono condizioni che richiamano la trincea, che riaffiora come esperienza ai limiti dell’umano, una guerra psicologica di attesa, il luogo dove si condivide paura, fame, dolore e morte. Il ricordare di morti ammazzati, fingersi tali accanto ad altri cadaveri, magari il “compagno massacrato con la sua bocca digrignata volta al plenilunio”, risentire quell’odore nauseabondo di sangue, l’ultima parte della piéce rivelerà il suo sviluppo misterioso e simbolico. I quattro vestono maglie di lana grossa, pantaloni al ginocchio e scarponi allacciati, bretelle e fasce che avvolgono i polpacci, tonalità verde bosco, scelgono di continuare a vivere insieme, per scelta o forzatura non sappiamo, fatto sta che molti reduci di guerra furono veramente emarginati al ritorno. Fantasmi notturni agguanteranno prima la psiche fragile di Martino (Nicola Merci) e di Enrico (Luca Santuari), poi anche Adelmo (Kristian Civetta) ne sarà preda, Settimio (Silvio De Simone) sembra conservare migliore stabilità, mentre un lupo bianco dallo sguardo di ghiaccio, lo svolazzare sinistro dei succiacapre, i sei corpi ritrovati morti senza alcuna ferita addosso, sono il crescendo di allucinazioni che diventano pura ossessione. Fame, paura, dolore e morte, era la quotidianità della trincea, intanto ci si poteva ammalare di sindromi misteriose, fatte di tremori, palpitazioni e incubi, ma una volta a casa si era ‘reduci’ nell’anima, e si poteva anche impazzire, o suicidarsi, o lasciarsi esplodere in una rabbia omicida. La normalità è difficile, perché la guerra è condizione estrema e disumana, oltre che disumanizzante, è il crudo messaggio. E quella che chiamano “terra di nessuno” che separa gli eserciti che si fronteggiano, misto di fango e cadaveri, sarà la stessa che a guerra finita separerà gli uomini da se stessi, per i reduci sarà una “condizione dell’anima” di annientamento, una ferita aperta, un marchio di dolore a vita. Il 2 aprile 2017 al Teatro Genovesi di Salerno, nell’ambito della rassegna Festival Teatro XS, abbiamo visto un lavoro interessante per la regia di Sergio Bortolotti, non facile dal punto di vista drammaturgico, essendo il testo asciutto, con accadimenti veloci e una dimensione psicologica quasi da thriller.
La scelta dei quadri di vita reale, predominante nella prima parte, ha penalizzato, ma è soltanto un’opinione, il tempo dei “neri” capaci di elevare il livello di tensione psicologica, ritardando il decollo dello spettacolo.
Gli attori hanno dimostrato un’indubbia padronanza del palcoscenico, la recitazione a tratti non del tutto curata e qualche ‘sporcatura’ derivata da personali cadenze sono da attenzionare, più convincenti i nostri reduci lo sono nei momenti di smarrimento e di crescente incubo. L’insieme, anche per l’attenta scenografia di Paolo Nones, Thomas Donati, Renzo Merci, i costumi molto curati e appropriati di Diana Sinigaglia, Katia Bonmassar, Renzo Merci ed il gioco delle luci e del sonoro, rispettivamente di Stefano Bassetti e Paolo Nones, restituisce uno spettacolo solido e d’ispirazione che è stato molto applaudito dal pubblico. Il contesto simbolico e la conclusione partecipata, di effetto ed anche commovente, hanno il pregio di fare slittare in avanti il giudizio complessivo, grazie anche ad un ‘essere’ dello spettacolo denuncia di grande attualità
Marisa Paladino