Huis clos è un atto unico scritto da Sarte nell’autunno del ’43, un’idea nuova di teatro capace di rappresentare la “condizione umana”, oltre il naturalismo del teatro borghese. La Compagnia Terra Smossa di Gravina in Puglia (BA) ha scelto la piéce Porta chiusa per il IX Festival Nazionale “Teatro XS” Città di Salerno, perché capace di ‘parlare’ al pubblico contemporaneo, nonostante una scena che resta fissa, un testo quasi ‘manifesto’ filosofico sulle relazioni umane e un’azione drammatica dialetticamente complessa, ma questo è il fascino e la grandezza del grande padre dell’esistenzialismo. Garcin, Inès ed Estella i tre protagonisti si ritrovano in una sala che sembra una “trappola da sorci”, senza una via d’uscita, ognuno di loro convinto di un’illusoria libertà che, quando sarà il momento, non saprà utilizzare. Con loro, in scena, è l’idea sartriana del vivere il rapporto tra l’io e l’altro, dove lo sguardo di ognuno è sempre per l’altro uno “sguardo di Medusa”. La regia di Gianni Ricciardelli, altamente fedele al testo, è riuscita a creare, grazie anche al gioco di luci e sinistri oscuramenti (curati da Teresa Cicala) ed un cast assolutamente all’altezza, l’effetto claustrofobico necessario per un allestimento teso e concentrato, in cui la sfida dialettica si accompagna ad un’azione che rifugge ogni staticità. Ronny Tirelli, Leo Coviello, Maria Pia Antonacci e Stefania Carulli, sono nell’ordine d’ingresso un lucifero cameriere, il direttore di un giornale pacifista, un’impiegata postale e una moglie che tradisce il marito. La sala stile Secondo Impero con tre sedie soltanto, una statua di bronzo, un tagliacarte e un capriccioso campanello, è ciò che sopravvive alle vite lontane di questi “morti viventi”, tormentati nella memoria e dall’impossibilità di una via d’uscita. Uno ad uno, strisciando come in un cunicolo, entrano in scena. “Vivere senza palpebre” ad occhi aperti e per sempre, questa è l’immediata prospettiva per Garcin il pacifista, disertore e fedifrago, che tradiva la moglie, suicida dopo la sua morte e una vita di sottomissione. Inès l’impiegata alle Poste è omosessuale, in vita ha concupito la moglie di un cugino che farà poi uccidere, ultima ad entrare la bella Estella, un matrimonio d’interesse, che ha commesso un infanticidio annegando il figlio nato da una relazione clandestina, provocando anche il suicidio dell’amante. Tre vite solo apparentemente normali, in realtà tre assassini destinati ad incontrarsi per caso, in questo “inferno” senza scampo e senza torture fisiche, senza roghi né supplizi, “il boia è ciascuno di noi per gli altri due” dirà Inès interprete più autentica del pensiero del filosofo. Non sarà possibile “guardare dentro sé, non alzare mai la faccia” come propone Garcin, illudendosi che questo possa essere la salvezza. L’inferno sartriano sono gli Altri con i loro sguardi, l’impossibilità di guardarsi allo specchio per vedersi restituire un’identità, come reclama Estella, il non appartenersi se non attraverso l’altrui considerazione, ognuno è vittima e carnefice dell’altro. I tre si raccontano anche con confessioni molto intime, forse mai rivelate nell’altra vita fatta di rapporti viziati, di abitudini senza motivo, mentre le scelte fatte diventano espiazione e massacro. La porta dell’ingresso, intanto, non è sbarrata ma le sbarre non servono, anzi quella porta aperta fa orrore, la richiudono immediatamente, scegliendo la convivenza forzata e di essere vittime della loro apparente libertà. Intanto condannarsi a questa prigione è terribile, quando la vita è “E’ cosa già fatta, capisci?” e immodificabile, come grida Inès, tra le risate degli altri e tutto che continua, e va avanti per l’eternità. Il ritmo intenso e teso di un allestimento concentrato si è avvalso di interpreti calzanti ognuno nel personaggio. Vitreo e immobile il cameriere, un ineffabile Ronny Tirelli traghettatore di anime dannate, estremamente versatile Garcin grazie ad un Leo Coviello dominante e dominato, contendente e conteso, tra un’ironica e seduttiva Inès, l’attrice Maria Pia Antonacci scompaginante e sadica, ma anche coscienza critica per gli altri due, ed Estelle affascinata ed esitante, dalla perduta corporeità e oggettualizzata nell’essere, un’ottima Stefania Carulli che non risparmia dolore al personaggio solo apparentemente fatuo. In quest’orizzonte senza fine potrà esserci riscatto? E’ l’azione, la risposta di Sartre, l’unica possibilità per rompere il cerchio infernale nel quale si vive, restare nell’inferno è rifiutare l’azione e la responsabilità connessa, domandarsi, invece, quali gesti vogliamo riflettere nell’altro, può portare ad un nuovo primato dell’etica, perché come Inès dirà a Garcin, in maniera scarna ma illuminante “Soltanto le azioni stabiliscono che cosa si è voluto”. Visto il 19 marzo 2017 al Teatro Genovesi di Salerno, una bella occasione per accostarsi o per ritrovare Sartre, il pubblico ha espresso un chiaro gradimento.
Marisa Paladino