Ricetta di Natale? sapiente regia, grande direttore, cast di pregio=Pagliacci

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Non poteva esserci modo migliore per chiudere l’anno. Almeno quello della stagione d’opera del Teatro Comunale di Bologna. Non riuscimmo a vedere il dittico Pagliacci-Cavalleria Rusticana nel 2019, ma a distanza di quasi cinque anni, ne vediamo una metà nei nuovi spazi in zona fiera. Ed è stata una fortuna. Altrimenti ci saremmo persi un’intelligentissima lettura registica di Serena Sinigaglia che ripropone l’opera in chiave realista, quasi pasoliniana per approccio filmico. Il realismo scenico si sposa magnificamente con la narrativa Verista del libretto di Leoncavallo, che ne firma testo e musica.
Questo “Pagliacci” bolognese sublima la grande forza narrativa del testo verista con una regia molto centrata ed un cast di prim’ordine.  Altro punto a favore è averlo finalmente ascoltato come unicum, senza dover a forza onorare la consuetudine di vederlo affiancato a «Cavalleria Rusticana» di Mascagni. Per carità, ben vengano dittici e trittici che permettono di portare in scena anche testi più brevi che altrimenti resterebbero relegati in produzioni minori, ma riteniamo che l’ora e mezza abbondante di questa opera siano più che sufficienti a darle piena dignità e modo all’ascoltatore di valorizzarne appieno la forza musicale.
Portando in scena una vicenda come questa sarebbe stato sicuramente attuale parlare soprattutto di femminicidio, ma avremmo visto solo una faccia di questo drammatico prisma.
La tragedia in «Pagliacci» è scatenata da violenza – sicuramente di genere- ma anche sociale e di classi. Come dice la stessa regista «Nedda spicca come elemento di tragedia e memento per l’umanità». Come detto, i quadri realisti, riadattati per lo spazio scenico del Nouveau sono molto belli nella loro semplicità. A tratti, le scene rimandano alla pellicola “Ma cosa sono le Nuvole”. La scena ha più piani, palesati da lunghe file di erba alta che percorrono il palcoscenico per tutta l’ampiezza, mentre sullo sfondo che il palcoscenico dove la compagnia di strada si esibisce. È proprio qui, dove la finzione si mischia con la realtà, che si concretizza il delitto.
Qui Canio, Vestito ancora da Pagliaccio, esclamerà «La commedia è Finita» dopo aver consumato un duplice orrendo omicidio.
Sul palco gli attori si confondono nei personaggi in una sequenza di eventi che porterà la commedia dell’arte a sfociare in tragedia.
Il marchingegno drammatico non salva nessuno dei personaggi. Nedda, innamorata di Silvio, trama la fuga per sfuggire alle violenze di Canio che non sospetta il tradimento. Tonio, attore storpio della compagnia, che ama Nedda ma ne è respinto, per invidia avverte il pagliaccio del tradimento. Beppe, altro attore, è la rappresentazione della società che, sebbene dentro al dramma, se ne disinteressa. In questo climax tragico l’indole violenta di Canio prende il sopravvento.
In «Pagliacci» c’è sì violenza di genere ma anche qualcosa di più drammatico. Perché senza l’attributivo “di”, la violenza fa più paura e rimanda ad un’oscurità umana più indecifrabile e orizzontale che impone riflessioni e risposte sociali più profonde.
Ed è questo il più grande merito di questa regia, aver esposto tutti i piani della tragedia con profondità e delicatezza.
Parlando di musica, vedere Daniel Oren sul podio è sempre garanzia di successo. È così anche questa volta: Oren dirige con grande dinamica e raffinata sensibilità.
L’affiatamento tra direttore e orchestra è evidente sia nei momenti più intensi che nei passaggi lirici e la tavolozza di colori è piena di tinte piene e sfumature. Equilibrata la direzione del cast vocale, che percorre il solco della tradizione, sfrondando il risultato di ogni manierismo. Ma con artisti di quel calibro sarebbe stato difficile non ottenere il massimo. Alla fine, applausi per tutti, soprattutto per i due protagonisti.
Gregory Kunde avrà siglato un personale patto con il Diavolo, le candeline sulla torta sono settanta, ma lui continua ad illuminare la scena della sua classe.
Quale sia il suo segreto non è dato saperlo, ma funziona, eccome. Canio non è un personaggio semplice ma lo interpreta in modo egregio.
La Nedda di Mariangela Sicilia ha una vocalità meravigliosa con grandissima apertura ed una facilità nella parte più alta del registro. Sul palco restituisce il personaggio con autenticità.
Bravo anche “l’altro”. Nel Silvio di Mario Cassi abbiamo trovato un gran bel Baritono che incanta nel duetto con Nedda.
Conferma le aspettative il Tonio di Roman Burdenko che gestisce molto bene un personaggio non semplice. Buona prova per Paolo Antognetti il cui Beppe/Arlecchino spicca per vocalità scintillante.
Laddove il libretto richiede un intervento del coro, quello del Comunale di Bologna diretto da Gea Garatti Ansini, riesce sempre a dare quel tocco in più sia per preparazione musicale che per presenza scenica. Questa volta il “bravo” va in cooperativa con la formazione di voci bianche dirette da Alhambra Superchi. Ma che bello!
La prima del 15 Dicembre ha riscosso consenso. In fondo basta poco: una buona regia, una grande bacchetta ed un cast vocale di rilievo. Ecco la ricetta per le feste.

Ciro Scannapieco

Foto di Margherita Caprilli

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