La stagione 2024-2025 del Teatro San Ferdinando di Napoli è stata inaugurata con lo spettacolo Re Chicchinella firmato, scritto e diretto, da Emma Dante, ultimo della trilogia realizzata ispirandosi al Cunto de li cunti di Basile.
Lo spettacolo, applauditissimo, è in scena dal 29 ottobre al 10 novembre 2024 al Teatro San Ferdinando di Napoli dopo il suo debutto nella primavera del 2024 a Milano ed è una produzione de Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, Atto Unico / Compagnia Sud Costa Occidentale, Teatro Stabile del Veneto – Teatro Nazionale, Carnezzeria, Célestins Théâtre de Lyon, Châteauvallon-Liberté Scène Nationale, Cité du Théâtre – Domaine d’O – Montpellier / Printemps des Comédiens.
Protagonista della storia il potere che divora sia chi lo detiene sia chi ne dipende e lo desidera. Le relazioni umane non possono essere autentiche perché inquinate dal desiderio del potere.
La regista Emma Dante si è ispirata alle novelle de Lo cunto de li cunti per questo spettacolo, sintesi emozionale e simbolica della relazione tra gli uomini e il potere.
Emma Dante dello spettacolo cura anche i costumi e gli oggetti scenici inseriti organicamente nella partitura della messa in scena, che vede un susseguirsi di assoli, trio, coralità, in un’alternanza narrativa in cui pause e assenza di luce sono essenziali.
Dala coralità dello spettacolo affiora nell’equilibrio l’unicità di ogni personaggio.
Spiega Emma Dante: «Re Chicchinella racconta la storia di un sovrano malato, solo e senza più speranze, circondato da una famiglia anaffettiva e glaciale che ha un solo interesse, ricevere un uovo d’oro al giorno. L’animale vive e si nutre dentro di lui, divorando lentamente le sue viscere, fino a quando il re non scopre che per il mondo lui e la gallina sono la stessa cosa. Dopo tredici giorni d’inedia, Re Carlo III d’Angiò, re di Sicilia e di Napoli, principe di Giugliano, conte d’Orleans, visconte d’Avignon e di Forcalquier, principe di Portici Bellavista, re d’Albania, principe di Valenzia e re titolare di Costantinopoli, entra nella sua nuova esistenza e, appollaiato sul trono, riceve il plauso di tutta la Corte».
La storia fantastica narra di re Carlo III d’Angiò che durante una battuta di caccia ha bisogno di liberare le viscere, e per pulirsi usa una gallina che appare morta. L’evento magico: la gallina è viva e si insinua nelle sue viscere, vivendo in simbiosi con il re, mangiando quello che lui mangia e “cacando” ogni giorno un uovo d’oro. Questa condizione debilita fortemente il re che decide di digiunare per dieci giorni, sperando di uccidere la gallina e se ottimale anche sé stesso per ritornare finalmente libero. Ruotano attorno a lui servitori devoti, interpretati da Simone Mazzella e Davide Mazzella, che compiacciono il re e al tempo stesso non solo sottoposti prezzolati accondiscendenti, provano ad alleviare le sue sofferenze fisiche, a restituirgli relazioni umane reali, dove l’interessamento per l’altro non è sostenuto da secondi fini.
Sono maschere buffe imperfette e indefinite che dovrebbero annullarsi nella storia, e divengono la voce dell’umana miseria che assiste agli avvenimenti.
Il re, interpretato magistralmente da Carmine Maringola, che ha caratterizzato nei movimenti la sofferenza del sovrano, avvolgendolo in un alone di lucida follia, capace di trasmettere sentimenti intensi, di sottostare al volere della corte e della sorte, di soccombere al potere.
Le sue relazioni umane contrastanti: con la figlia un amore infinito e con la moglie una sopportazione adeguata al matrimonio combinato. Lui re villano, inadatto alle mondanità della corte, incapace di stupirsi delle bellezze dell’arte, è trascinato dall’istinto primordiale della fame, la cupidigia lo induce a saziarsi con il solo sguardo.
Al contrario la regina, Annamaria Palomba, è una donna arida nei sentimenti e nel sembiante, dai costumi morigerati, che disprezza il marito, importante solo per il potere che possiede e condivide con lei. Eppure, avrebbe voglia di instaurare una relazione affettiva con quest’uomo rozzo e incolto.
La principessa, Angelica Bifano, viziata, desiderosa di godere delle bellezze della vita, esprime atteggiamenti contraddittori nei confronti del padre, se da un lato è interessata alla sua salute e all’affetto, dall’altro in lui ricerca il potere e la ricchezza per poterli utilizzare.
Tutt’attorno ruota una corte parassita, dissipatrice, altezzosa, deforme e irriconoscente del potere appartenente al re.
Come in un pollaio le galline seguono la fonte di cibo così la corte è interessata a vivere di luce riflessa il potere e la ricchezza. La coralità dei gesti, le simmetrie, le carole e le girandole sono state agite da Viola Carinci, Davide Celona, Roberto Galbo, Enrico Lodovisi, Yannick Lomboto, Samuel Salamone, Stephanie Taillandier, Marta Zollet.
Dopo la morte straziante del re, in cui si riappropria della sua umanità cercando di farsi estirpare dai medici il male del potere/gallina, tutta la corte gli rende un conveniente onore, e dalle sue spoglie non può che rinascere una pura ignara gallina bianca.La drammaturgia è musicalmente introdotta da un’ouverture “alla francese” ed è sospesa in una campata tra due passacaglie, dal barocco la «Passacaglia della Vita» del cinquecentesco Stafano Landi e quella contemporanea di Franco Battiato, pasasndo per virtuosismi settecenteschi, “battaglie” e abbandonandosi nel toccante “lamento” di «Lascia ch’io pianga» di Händel.