A voler raccontare il concerto di Arcadi Volodos bisognerebbe partire da quella strana sensazione che ti raggiunge quando quel che conoscevi sembra nuovo.
Uno stato di spaesamento che si attorciglia con l’entusiasmo di chi sta partecipando ad un’esperienza meravigliosa, tanto per ingarbugliare ancor di più le emozioni.
Il fascino del gioco interpretativo di raccontarsi con note altrui ci fa scoprire non solo il pianista ma soprattutto la singolarità dell’uomo.
Alberto Spano nelle note introduttive ci aveva avvertito «siamo difronte ad uno dei primi cinque pianisti attualmente in attività».
Non che non gli avessimo creduto. In fondo la frequentazione audiofila con il pianista russo è consolidata e stabile, piena di ammiccamenti discografici per cui ci era già chiaro che fossimo difronte ad un interprete di prim’ordine. Però quel che abbiamo ascoltato lo scorso 15 Gennaio presso l’Auditorium Manzoni di Bologna per la stagione concertistica della Fondazione Musica Insieme, sfugge ad ogni classifica.
Con Volodos il livello emotivo, ancorché tecnico, si innalza ad un livello per cui lo strumento sembra sparire nella sua stessa musica. Il respiro tra le note, con un cantabile rassicurante ma fermo, i rubati insoliti, le dinamiche accattivanti, trascendono al fatto pianistico.
La musica ci arriva – pura – come se non ci fosse alcuna intermediazione dello strumento.
In questo dialogo diretto tra musicista e sala, si avrebbe voglia di afferrare una di quelle note, tanto sono materiche, per avere testimonianza che tutto ciò sia esistito veramente. Questo non si esplica in una classifica.
E se dovesse capitarvi a tiro, non fatevi scappare l’opportunità di ascoltarlo. Ma fatelo cancellando dalle orecchie ogni riferimento esecutivo.
Un approccio comparativo potrebbe fuorviare l’ascolto, facendovi perdere in un reticolo di mille pensieri in merito alla giustezza della scelta musicale. Tra esecuzioni più veloci della norma, pause inusitate e rubate che squartano il tempo, potreste chiedervi se la strada sia corretta.
Ma chi è seduto al piano (e)segue il percorso musicale con la naturalezza di chi conosce la strada di casa. Ed è una bella casa.
Ma bando alle ciance, veniamo al concerto che si apre con la Sonata n.16 in la minore D845 di Franz Schubert.
Probabilmente la migliore partitura per raccontarsi alla sala con le sue melodie che si sviluppano con una certa complessità. Quasi un lied pianistico di lucida scrittura che mette in luce l’abilità del pianista di far respirare i cantabili e dargli intellegibilità e immediatezza anche laddove avrebbero potuto andar perduti, come nello sviluppo dove le linee tematiche negli intrecci accettano sempre il rischio di “annodarsi”. Non mancano elementi virtuosistici nello Scherzo e nel Rondò, riproposti sempre con personalità.
La seconda parte del programma vede il pianista impegnato con i Davidsbündlertänze op. 6 di Schumann, raccolta di 18 brani per pianoforte scritti nel 1837, in un periodo di notevole attivismo del compositore che gli porterà a fondare la rivista «Neue Zeitschrift fur Musik». Volodos restituisce questa alternanza di sentimenti con limpidezza, arricchendo l’interpretazione della sua sensibilità senza mai tradire l’autenticità del messaggio.
Chiude il programma una personale trascrizione della Rapsodia Ungherese di Liszt che, nel solco di Horowitz, arricchisce la già complessa partitura di contro-linee tematiche di gran pregio.
Ben tre i bis reclamati a suon di applausi dal pubblico: Schubert, Minuetto D.600, Ernesto Lecuona, Malaguena, Mompou, El lago.
Proprio quest’ultimo bis ci da modo per esprimere l’ultima considerazione. La musica del compositore catalano è scarna, con un impianto armonico che svanisce nel buio di una malinconica e nostalgia melodia. Di certo non il brano migliore per un virtuoso della tastiera ma una tela perfetta per un interprete di personale sensibilità.
Questo è Volodos, un grande interprete prim’ancora di essere un gran pianista. Non sappiamo che posto occupi in classifica, di certo il suo linguaggio pianistico è unico.
Ciro Scannapieco
Fotografie @Dino Russo