Un’ipnosi che ti porta indietro di quarant’anni. Relative Calm di Wilson e Childs al TCBO

0

Per un attimo è sembrato di scivolare indietro nel tempo, in quel paradosso temporale così unico, com’è stato il tempo tra la fine degli anni Settanta ed i primi Ottanta. Un tempo frivolo e allo stesso tempo concettuale, positivo ma degradante, gioioso e grottesco. Un periodo dove personalismi iconici avevano la forza di diventare massificanti fenomeni planetari, rimbalzando da un satellite all’altro sui tubi catodici di ogni salotto.
Un crocicchio tra passato e futuro, un miscuglio di tutto e niente dove realtà e finzione copulavano di una passione creativa.
In questo afrodisiaco contesto, sostenuto dalle nascenti ed enormi potenzialità mediatiche, sono nate tra le più interessanti vicende artistiche degli ultimi cinquanta anni. Robert Wilson e Lucinda Childs sono artefici di uno dei più interessanti picchi creativi. Nel ’76 da questo collettivo artistico viene fuori il capolavoro Einstein on the Beach con le musiche di Philip Glass.
Lo spettacolo di Danza andato in scena al comunale di Bologna lo scorso 24 e 25 settembre, nasce proprio ad inizio ’80, allorquando il regista e la coreografa mettono in scena uno spettacolo con musiche di Jon Gibson – manco a farlo a posta un altro musicista della cerchia di Glass- in quel luogo di avanguardia che era The Kitchen. Il titolo, allora come oggi, era Relative Calm.
«Quando abbiamo cominciato a pensare a una nuova creazione, giusto nel mezzo dei giorni di isolamento della pandemia, ci è tornato in mente quel titolo, ci piaceva», racconta Bob Wilson. Così, ricreato il sodalizio artistico, 80 anni Lui, quasi 81 Lei, decidono di espandere quell’esperienza. Alle musiche di Gibson, arricchite di una nuova coreografia, sono stati aggiunti altri due momenti, Il Pulcinella di Stravinskij e Light over water di John Adams, intervallati da due monologhi della stessa Childs.
Spente le luci in sala, con il pulsare di un telegrafo siamo stati trasportati in quel tempo svanito. 17 minuti di incessante e ipnotica musica. 15 battute suddivise in cinque gruppi da tre che si ripetono con ostinata ritualità, aggiungendo ad ogni giro un frammento al messaggio. Al centro del palco quattro coppie di ballerini, disposte parallelamente, uomo e donna sfalsate a creare un marchingegno di malefica ripetitività. Come un canone in danza, le quattro coppie si inserivano nella coreografia una per volta danzando per due gruppi di tre battute ciascuna, alla quarta si inseriva nella coreografia la coppia successiva, così che fossero sempre due a danzare contemporaneamente, fino allo scadere delle 15 battute per poi ricominciare il giro.Infernale.
Lo spazio scenico – minimale anche quello – vedeva comporsi una spirale squadrata luminosa con un progressivo rituale di accensioni che – manco a farlo a posta – durava le solite 15 battute. Il bianco dei costumi veniva interrotto solo da una banda nera sulla schiena. Di grande impatto il linguaggio coreografico, certamente contemporaneo ma senza perdere stile e rigore del classico. Ossessivo, cervellotico e massiccio. Di certo il momento più entusiasmante della serata.
Si prosegue con “Pulcinella suite” di Stravinskij, eseguita dall’orchestra del Comunale diretta da Tonino Battista.  Wilson spiega bene il rapporto con le maschere e la scelta “Tutto il mio teatro, in un certo senso è un masque con musica e testo; l’immagine in scena è ciò che si vede mentre ciò che si sente è qualcosa di diverso. Da questo punto di vista il mio teatro è molto classico, proprio come nel teatro greco dove gli attori erano tutti maschere”. Anche qui la coreografia si basa su intrecci sincronizzati, sebbene l’allontanamento dal minimalismo musicale produce un contesto meno incalzante. L’orchestra del TCBO – come di consuetudine – è artefice di una prova di grandissima solidità. Bravi.
Dopo il secondo monologo “knee play 2”, in pratica una consuetudine dai tempi dell’Einstein, dove servivano anche a rubare un po’ di tempo per cambio scena. Anche qui il linguaggio della Childs è minimale, fatto di continue ripetizioni che portano all’approfondimento del concetto.
Si chiude con Light over Water di John Adams. Il brano del 1984 apre alla musica elettronica. E’ una composizione piuttosto lunga con sezioni contrastanti che si succedono l’una all’altra in modo molto tenue in un esercizio di equilibrio timbrico ed armonico molto lavorato. La danza segue con i sincronismi ossessivi propri del linguaggio della Childs.
Ottima la prova del corpo di ballo MP3 Dance Project – diretto da Michele Pogliani che ha saputo domare le insidie di una coreografia molto articolata.
Visitare quel momento di grande entusiasmo creativo che sono stati i primi anni Ottanta ci fa pensare a quanto povero artisticamente sia il decennio che attraversiamo.
Ma quello era un crocevia sociologico parecchio fortunato, forse è stato in quel crocicchio che è stato siglato il patto con il diavolo ed ora stiamo solo pagando gli interessi.

Ciro Scannapieco

Stampa
Share.

About Author

Comments are closed.