“Nella nostra epoca l’unico rivoluzionario era Strauss!” pare abbia detto Arnold Schoenberg dopo essersi lasciato andare ad un “Non sono mai stato un rivoluzionario”. Se a dirlo è stato colui che ha lacerato e ricucito le regole dell’armonia c’è da credergli.
In effetti, il buon Richard III ha – di fatto – chiuso l’Ottocento nel cassetto della storia mentre ancora vorticavano i walzer. Così come suonava ancora Wagner quando la Salome ha ribaltato il secolo romantico sul decadente e nevrotico inizio Novecento. Strauss di fatto apre un secolo di grandi guerre inframezzate da decenni d’oro.
Si arriva così al 1912 quando va in scena il complesso intreccio di “Ariadne aufNaxos”, che a vederla, anche oggi che sono passati cento anni, sembra infrangere ogni regola. Nella nostalgica Arianna, un compositore troppo serioso tenta di scrivere un’opera grandiosa – l’Arianna a Nasso per l’appunto- mentre un gruppo di attori della commedia dell’arte semina lo scompiglio intorno a lui. Diventa una parodia nella parodia. I riecheggi barocchi del componimento serio vengono scherniti da dissonanze ispide mentre ben 17 calcano la scena. A tale abbondanza di voci si contrappone un organico strumentale striminzito. Qualcuno commentò “i giorni delle grandi orchestre sono finiti” vedendo un’orchestrazione di soli trentasei elementi.
Non è un’opera semplice ed è estremamente raro trovarla in cartellone. Questo rende la programmazione del Teatro Comunale di Bologna sicuramente meritevole di apertura e coraggio. La recita di cui si scrive è quella del 27 Marzo 2020, l’ultima in programma. Qual modo migliore per festeggiare la ritrovata libertà dopo giorni di isolamento pandemico? Per quel che si è visto non avremmo potuto perdercela. Siamo solo agli inizi ma questa “Ariadne aufNaxos” si candida come uno degli avvenimenti della stagione bolognese.
Quest’ultima recita, poi, vede sostituzioni di gran pregio che – non me ne voglia nessuno – potrebbero quasi essere un fortunato incidente. La luminosa Najade di Tetiana Zurhavel non ammette alcun rimpianto verso chi non abbiamo potuto ascoltare e la presenza di Johannes Martin Kranzle è quasi una fortuna. Non avendo ascoltato i titolari, non si può affermare di preferirli ma – non ce l’avessero comunicato – avremmo stentato a credere che i due fossero innesti tardivi, tanto erano a proprio agio nella parte e nella regia.
Avremo altre occasioni per ascoltare Nofar Yakobi e Markus Werba e magari rimpiangere la loro assenza per questa rappresentazione bolognese.
La regia di Paul Curran è sobria e ben bilanciata nei due piani di lettura. Merito anche degli ottimi costumi di Gary McCann.
Il risultato linearizza un’opera che potrebbe risultare confusa se ingabbiata in riletture azzardate. Fortunatamente qui di estremo non c’è nulla, ma non perché ci si trovi davanti ad “un compitino”, ma più per intelligente abilità di rendere fruibile l’articolato libretto di Hugo von Hofmannsthal.
Di note di merito bisogna farne tante, quasi che l’entusiasmo potrebbe essere confuso per piaggeria. Chi ha visto questa Arianna felsinea, però, capirà che non c’è nulla di eccessivo e immeritato.
Mattatrice della serata è Olga Pudova. La sua Zerbinetta si contraddistingue per slancio. Riesce a domare una parte dai mille registri, brillante, ammiccante ma anche molto intima. Ci riesce abilmente segno non solo di abilità vocale ma anche di sensibilità artistica.
Le si contrappone l’onestissima Primadonna di Dorothea Röschmann sul palco nonostante una leggera indisposizione vocale. L’artista tedesca con grande professionalità e mestiere porta a casa la serata senza sbavature e con un timbro pulito ed elegante.
Veniamo alle maschere. Tommaso Barea, Carlos Natale e Vladimir Sazdovsky sono assolutamente azzeccati nei panni – rispettivamente – di Arlecchino, Brighella e Truffaldino.
Della Navade last minute di Zurhevel abbiamo già detto. Al suo fianco Chiara Notaricola, un ottimo Echo.
La Driade di Adriana di Paola spicca nel gruppo sia per istinto scenico che per potenza di emissione, con quella timbrica netta che sembra imporre carattere sul palco sostenendo le compagne di avventura. Niente male per un ruolo che dovrebbe essere solo “secondario”.
Brava anche Victoria Karkareva, il suo compositore fa letteralmente scintille. Daniel Kirch – infine- è un Bacco onesto, si fatica a trovare un difetto nella sua interpretazione.
Dall’ Orchestra del Comunale ci si aspetta sempre una più che discreta prova ma quando ti accorgi che suona “meglio”, parte del merito va al direttore. Juraj Valčuha è una di quelle bacchette che fa la differenza e – al netto delle ormai tradizionali sbavature sugli ottoni – l’orchestra ha suonato in modo emozionante.
“Ariadne AufNaxos” del TCBO in collaborazione con la Fenice di Venezia ed il Teatro Massimo di Palermo è un’opera riuscita. Se doveste vederla in cartellone, non pensateci due volte, andate a vederla. Si candida come opera più interessante della stagione.
Ciro Scannapieco