Più che la violenza della passione è la prepotenza della sopraffazione, quando ombre sinistre si allungano sulle relazioni uomo-donna in un sistema sociale che vive di stereotipi, verità preconfezionate e giustificazioni mistificatrici.
Una cultura arcaica che tutto avvolge e immobilizza, questa la Sicilia dei primi anni ’60, ma qualcosa inizia a scricchiolare.
Lì è davvero difficile essere giovani e carine, i costumi sociali e sessuali ingabbiano la donna in quegli assoluti di santa o prostituta, di madre o zitella, facendone spesso ‘cosa’ di proprietà altrui.
Alla donna sono preclusi molti spazi e le sono assegnati ruoli rigidi nella società, è vittima, ma giocoforza anche complice, di convenzioni sociali mai messe in discussione, dove l’onorabilità è stabilita dalla legge dei padri e la verginità è prezioso bene da difendere fino al matrimonio e l’unico destino è maritarsi e fare figli, altrimenti zitella o in convento.
Quest’atmosfera rivive, con cupa e sfrontata forza evocativa, sul palco del Teatro Genovesi di Salerno, domenica 16 febbraio 2025 dove è in scena InVIOLAta il secondo dei sette spettacoli in concorso al XVI Festival Nazionale Teatro XS Città di Salerno.
Scritto e diretto da Teresa Cerere e David Marzi, è una drammaturgia tesa e indagatrice, con un’azione scenica, a tratti anche disturbante, di cruda verità ma di taglio e resa originale, nella produzione dell’Associazione SenzaConfine di Fasano (Br) che ha tra i suoi indiscutibili meriti quello di essere punto di incontro tra le arti performative. Forti emozioni e inevitabili riflessioni hanno coinvolto il pubblico, catturato dalle tre attrici sedicenni in scena Maria Barnaba, Sandra Di Gennaro e Ilenia Sibilio, la cui giovane età e la naturale ‘inesperienza’ non sono state per niente di ostacolo ad una prova risultata decisamente convincente, con buona padronanza scenica e consapevole avvedutezza di ruolo. Recitazione e non solo, per narrare una cronaca del lontano 1965, con evocazioni affidate a movimenti danzanti, leggeri e freschi o, all’opposto, provocatori e dissacranti, tra quadri di scene domestiche e di donne velate che pregano contro il demonio e le tentazioni, la Sicilia del tempo resa nella sua arcaica violenza e nei rigidi costumi sociali dell’epoca ma anche nella freschezza di desiderio di una giovane ragazza che vorrebbe amare liberamente o non per imposizione. Siamo ad Alcamo, in provincia di Trapani, tra vigneti e pascoli vive Bernardo Viola con la sua modesta famiglia, ha promesso in sposa la figlia Franca, appena quindicenne, a Filippo Melodia il nipote di un locale boss di Cosa Nostra, ma l’impegno viene annullato quando al giovane contestano apertamente l’appartenenza alla mafia, per Bernardo l’onore è cosa seria, fatta di lavoro e di onestà. La vendetta non tarda e le intimidazioni si susseguono.
La ragazza viene sequestrata e violentata, liberata dopo otto giorni quando Filippo è oramai convinto della “paciata”, il padre acconsentirà al matrimonio ‘riparatore’ così come impone il codice d’onore. Ma Franca non vuole sposarsi, il padre l’asseconda e sembra acconsentire alle nozze, soltanto però per tendere una trappola al Melodia, che la polizia arresterà insieme ai suoi complici. Nel processo la ragazza afferma la sua libertà di scelta ed il mafioso è condannato a undici anni di reclusione.
Sandra Di Gennaro è bravissima nel ruolo della protagonista, insieme alle altre Maria Barnaba e Ilenia Sibilio, certamente non da meno, l’evocazione in scena degli altri protagonisti cioè il padre Bernardo, il violento Filippo Melodia e la coraggiosa testimone, una prostituta frequentata dal Melodia, che conferma di averlo sentito discutere del progetto di sequestro della ragazza, calano lo spettatore nello svolgersi della vicenda. La svergognata Franca non accetta il matrimonio riparatore, nonostante le ferree regole sociali ed il chiacchiericcio del paese offeso nella sua morale pubblica; di quegli anni il libro-inchiesta di Lieta Harrison pubblicato nel 1963 titola proprio Le svergognate – un “cahier di oggettive doléance” come lo definì Pier Paolo Pasolini nella prefazione – raccoglie oltre seicento interviste fatte a uomini e donne di diversa età, sposati che non, sui temi dell’essere donna e sulla sessualità. L’esito è scontato, ne viene fuori un’opinione pubblica ancorata ai pregiudizi e ad una visione arcaica della sessualità, nello spettacolo l’originale resa dell’inchiesta è costruita nel contrappunto linguistico-narrativo delle tre interpreti che fanno rivivere, in una carrellata di assedianti botte e risposta, quel comune e trasversale trionfo di ovvietà e omologazione che furono le risposte degli intervistati.
I momenti essenziali della vicenda sono riannodati in un crescendo che nella testimonianza di Franca nel processo ha il suo climax dirompente, storia di dolore e di coraggio tratta da un tempo oramai sbiadito, ma con tematiche che conservano ancora una forte attualità di fondo. Nell’apparente polifonia di voci, che racchiudono di fatto un unico sentire, si oppongono i toni e le scelte della famiglia Viola, fino alla ribellione di un Franca che ottiene giustizia, seppure non pienamente, rispetto alle richieste formulate dall’accusa, costituendo quel NO la pietra miliare per cui niente sarà come prima. La fusione di diversi linguaggi teatrali e le giuste atmosfere musicali firmate da Kemonia, l’allestimento e le movimentazioni sceniche di Lisa Serio che assecondano le versatili interpreti sempre di effetto e giusto pathos interpretativo, sono i tasselli di un progetto teatrale originale, catturante e felicemente realizzato, giustamente applauditissimo dal pubblico.
E che dire del Cunto di Mario Incudine imprestato alla protagonista, di quanto invece la tradizione popolare del cunto e dei cantastorie assegna rigorosamente all’interpretazione maschile, l’atto di ribellione di Franca nel monologo-testimonianza in Tribunale salda dolore, attesa e speranza di una vicenda consegnata alla Storia, infatti un Don Chisciotte/Franca Viola restituisce quel senso di irriducibilità al compromesso dell’hidalgo spagnolo e la forza di una ragazza che testimonia che soltanto battendosi con forza per un valore, senza mai cedere, è possibile cambiare lo stato delle cose. Il suo NO ha reso la società più fertile al cambiamento, seguiranno i no a gran voce di tante altre ragazze, il profondo cambiamento di costume del Paese, poi ci saranno la riscrittura dei codici, la stagione dei referendum e le nuove leggi su matrimonio e diritto di famiglia. Una pietra miliare perché il caso diventa nazionale, mobilitando la grande stampa e l’intera opinione pubblica, mentre Indro Montanelli scrive sul Corriere di come i Viola, padre e figlia, abbiano detto no non solo a Filippo Melodia ma «hanno detto no a un sistema di rapporti basato sulla sopraffazione del maschio sulla femmina, hanno detto no a tutti tabù e feticci che fanno da pilastro a queste arcaiche società». Ci vorranno ancora sedici lunghissimi anni, però, per eliminare dal codice il matrimonio riparatore (insieme al delitto d’onore) con la legge 442, del 5 agosto 1981, mentre soltanto nel 1996 lo stupro verrà considerato non più un reato «contro la morale» bensì un reato «contro la persona» (che è stata abusata). La nostra società, a distanza di quasi sessant’anni, purtroppo però fa ancorai conti con la violenza sulle donne e tra le mura domestiche, mentre cronache di abusi ai danni delle ragazzine da parte di coetanei ci sdegnano e ci interrogano; innegabile però è la strada fatta e lo spettacolo lo testimonia, certo se ne dovrà fare altrettanta e ancora di più, ma il memento di questa cronaca lontana è un invito a non abbassare la guardia, volgere altrove lo sguardo o rassegnarsi, oggi più che mai. Forse già detto, però fa piacere ripeterlo, gli applausi della sala sono stati dirompenti e calorosi, continuati anche a luci accese, per uno spettacolo che ha colpito nel segno.
Marisa Paladino