Ridare voce alla musica è vestire le nudità straziate

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«Nun sfruculiare ‘a mazzarella a San Giuseppe» recita un antico ammonimento diffuso nella cultura popolare napoletana, la cui morale cela l’intento conservatore di non turbare lo status quo, ovvero l’ordine sociale esistente.
Benché noto a molti il modo di dire, non altrettanto di dominio pubblico è la derivazione dello stesso dal culto della reliquia del bastone, che la superstiziosa fantasia popolare ha annesso al guardaroba del veneratissimo Santo, padre putativo del Cristo.
«Non mi piace si parli di “mazzarella” – afferma il sovrintendente della Fondazione “S. Giuseppe dell’Opera di Vestire i Nudi”,  Ugo de Flaviis – preferisco si dica “bastone”, perché rimanda a sostegno, aiuto in in cammino, del Santo per eccellenza e di chi alla fede si affida».
La reliquia potrà essere ammirata e dai credenti venerata, dall’ 8 febbraio nel Nuovo Museo  San Giuseppe dei Nudi, a Napol, in via Mancinelli n.19, nelle adiacenze dell’antica Chiesa di San Giuseppe dei Nudi.
Il sito museale è stato tenacemente voluto dal sovrintendente, l’avvocato Ugo de Flaviis che dal 2014 presiede l’omonima Fondazione.
Gli spazi progettati da Davide Vargas, con sei sale, occupano  una porzione del settecentesco Palazzo del Complesso monumentale che comprende l’Archivio storico e la Chiesa con il suo magnifico organo del ‘700, oltre al Giardino storico.
Ricca è la ritrattistica che propone le sembianze di nobili, sovrani borbonici, papi, vescovi, e monsignori in una galleria che testimonia la “buona società” napoletana  attraverso i dipinti di Francesco De Mura, Giuseppe Bonito, una preziosa Madonna dell’umiltà a tempera e oro su tavola del XIV secolo di un seguace di Simone Martini, un interessante Martirio di San Gennaro appena restaurato e, naturalmente, il  Bastone di San Giuseppe.
L’oggetto dal nemmeno troppo riservato valore apotropaico è giunto a Napoli nel 1712 da uno dei più grandi e apprezzati cantanti evirati del tempo, Nicola Grimaldi detto “Nicolino” e donato e affidato alla custodia della Reale Arciconfraternita di San Giuseppe dei Nudi nel 1795.
Nicola Grimaldi ci proietta verso un altro tesoro custodito nel Complesso ispirato all’Opera di Misericordia del vestire gli ignudi: l’organo posto nell’omonima chiesa e suonato da Giovanni Paisiello che del luogo di culto fu Maestro di Cappella dal 1801, custodendovi, tra l’altro, preziosi manoscritti non solo di propria creazione, ancora oggi conservati e molti dei quali inediti.
Sono oltre un centinaio le partiture custodite  nell’Archivio  e realizzate espressamente  per la Fondazione.
Una speciale menzione merita l’ «Inno di San Giuseppe», composto da Paisiello e per il quale De Nardis realizzò una «Sinfonia introduttiva».
Musicisti noti e  meno hanno composto per funzioni e ricorrenze della Congregazione e l’archivio musicale custodisce partiture, oltre che di Paisiello e di Camillo de Nardis, di autori come Filippo Cinque e di quel Vito Millico, cantante e compositore capace di destare ammirazione di Gluck e apprezzamenti in terra di Russia, a Vienna e a Londra, nonché di tessere relazioni diplomatiche anche in virtù dell’ assai probabile affiliazione alla massoneria. Un musicista e un personaggio tutto da scoprire, i cui manoscritti inediti giacciono accanto alle pagine di Paisiello e che potranno alimentare studi Musicologici di enorme e nemmeno prevedibile interesse.
Vestire gli ignudi e ridar voce a partiture, un’opera di misericordia e una missione culturale che nel nuovo museo trovano una stimolante sinergia.
Bambini, sventurati vittime di mutilazioni, hanno dato lustro a Napoli nel mondo; oggi ridare vita a capolavori da essi creati o che dalle loro mirabolanti voci tanta visibilità ricevettero, assume valenza di doveroso, parziale indennizzo postumo.
Sarà come vestire anche, soprattutto, le nudità di innocenti straziate in nome dello star system, approfittando cinicamente delle miserie umane.
La Congregazione di San Giuseppe dell’Opera di Vestire i Nudi e Vergognosi viene fondata a Napoli il 6 gennaio 1740 per iniziativa di Francesco Cerio, con la collaborazione di Domenico Orsini e Nicola Antonio Pirro Carafa. Il 30 giugno 1740 l’istituto registra l’adesione della Real Casa Borbonica da cui la denominazione “Regal Monte e Congregazione di San Giuseppe dell’Opera di Vestire i Nudi e Vergognosi”.
I documenti ci raccontano che  Il 15 ottobre del 1745  è arrivato il beneplacito di papa Benedetto XIV, a garanzia dell’appoggio perpetuo della Chiesa; il primo atto riportato è la  donazione di sette vesti per altrettanti poveri.
Passano i secoli e nel 1907 il sodalizio è in grado di vestire ben 600 bisognosi e sovvenzionare azioni sociali fino ai nostri giorni sovvenzioni. A quasi 300 anni dalla sua fondazione, la Congregazione continua  ad operare orgogliosa della propria missione della propria identità.
«Fatti, persone, opere, documenti, come tessere di un puzzle hanno aspettato circa tre secoli per essere ricomposti in un funzionale e fruibile quadro d’insieme –  racconta Almerinda Di Benedetto, curatrice del Museo  – Con l’inaugurazione diamo inizio a quello che dobbiamo considerare solo un primo importante passo in direzione della conoscenza e della tutela dell’Ente, del suo patrimonio materiale e immateriale, e delle testimonianze di una storia  sociale tra le più significative della Napoli sette-ottocentesca. Un’illuminante lettura del vissuto spirituale dell’Opera e di chi l’ha tenuta viva nel tempo, contribuendo a ricostruire l’identità di un pezzo del nostro territorio».
Il sovrintendente Ugo de Flaviis conclude: «Vediamo finalmente realizzato un percorso che racconti la storia della Real Arciconfraternita di San Giuseppe dell’Opera di Vestire i Nudi e la sua grande Opera di misericordia, che continua attraverso i secoli: si tratta solo di un primo, per quanto importante passo, verso il recupero di testimonianze custodite per secoli di quella storia, cultura e spiritualità che hanno fatto grande la nostra città».

 

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