Dopo oltre 35 anni «La Fanciulla del West» torna e inaugura al TCBO

0

Una prima di stagione è sempre un avvenimento speciale. Questa volta ancor di più e non per l’immancabile red carpet dei soliti notabili bolognesi (e non). Questo debutto di stagione ci presenta un titolo tra i meno frequentati del repertorio pucciniano: «La fanciulla del West».
Ovviamente, la curiosità era tanta.
Un po’ – e non lo si nega – per il parterre de rois, con noi pronti ad avvistare i soliti volti noti, commentarne la mise e tracciare la mappa degli accompagnatori. Ma, a ben vedere i numerosi colli intenti a rotazioni al limite del possibile fisiatrico, proiettanti occhi affilati come lame, eravamo in buona compagnia. In fondo, una bella prima è anche questo: chiacchiericcio. Da qui in poi, però, terremo per noi le più o meno acute riflessioni di costume e ci concentreremo solo sul fatto artistico. Abbandonata ogni forestica pulsione, allo spegnersi delle luci, siamo rimasti in compagnia del vero elemento dirompente: il Titolo. In fondo si era al Comunale Nouveau per ascoltare musica, no?
Per quanto mi riguarda – questa – è prima volta con la Fanciulla (suvvia non si facciano battute di bassa lega). Ed è stata una bellissima prima volta. Il merito principale è dell’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna, diretta da un magnifico Riccardo Frizza.
Li nominiamo per primi perché sono stati i principali fautori del successo della serata. Non avevano un compito semplice.
La partitura è una vera rogna e non si sbaglia definendolo come un insidioso percorso ad ostacoli. In ogni momento c’è una tessitura musicale che accompagna gli eventi, e si chiede agli orchestrali un gran lavoro di cesello.
Il tessuto compositivo stratifica ricerca timbrica e ritmica da cui fioriscono elementi tematici che – nella tradizione melodica pucciniana – sono di grande impatto. Il tutto sublimato da sapienti macro e micro-dinamiche oltre che da una sensibile agogica. Non c’è momento – nemmeno un recitativo – in cui dalla buca non esca una spremuta di meraviglia. Esticavoli
Un risultato del genere non si improvvisa. Tutto merito della bacchetta bresciana che dimostra di aver esplorato al microscopio queste pagine di Puccini. Il suo è un approccio che definiremmo stechiometrico, dove ogni elemento è dosato con estrema cura. La definizione sonora e la consapevolezza armonica che ne deriva investe il pubblico e lo trascina nel dramma, anche quando la storia potrebbe non aiutarci nell’immedesimazione. Che bello constatare che la musica viene prima di ogni altra cosa.
Perché, diciamocela tutta, la storia è quello che è. Scritta per il pubblico americano del MET e messa in scena nel 1910, non ebbe gran fortuna. Ovviamente, le prime recite con Arturo Toscanini sul podio ed Enrico Caruso nei panni di Dick Johnson, ebbero un ottimo successo. Ma passato l’effetto All-Stars, il libretto risultò troppo macchiettistico e caricaturale per il pubblico americano e troppo lontano dalla sensibilità europea. Per produttori ed impresari, più sicura e profittevole riproporre una sempre bella Tosca.
Da lì un semi-oblio. Eppure, il discorso musicale è tra i più belli partoriti dal genio lucchese, dove la grande forza melodica esplode da questo intricato e meraviglioso bosco musicale nutrito di personaggi che potrebbero sembrare secondari ma risultano indispensabili nella costruzione dell’intreccio. Basti pensare al meraviglioso cammeo di Francesco Leone nella ballata di Jake Wallace.
Non facile nemmeno il compito dei cantanti principali. Sempre bello rincontrare sul palco Carmen Giannattasio, che debutta con una prova senza macchia. Cristallino Talento e tanto mestiere l’aiutano a gestire questa prima volta negli insidiosissimi panni di Minne. Brava. Solido il Dick Johnson / Ramerrez di Angelo Villari che gestisce la lunga e faticosa parte con intelligenza. Forse gli avremmo preferito l’altro. Perché quando entra in scena il Jack Rance di Claudio Sgura, domina sempre il palcoscenico. E non solo per l’altezza. Alla fine la scelta è toccata a Minnie, ed il biscazziere avrà dovuto farsene una ragione. Ci fosse stato un quarto atto, lo avremmo trovato seduto al bar con una bottiglia di whiskey mentre Wallace gli cantava un intero catalogo di canzoni tristi. Ma si sa, il sogno americano non prevede tragedia e nel vissero tutti (o non proprio) felici e contenti, al termine del dramma non muore nessuno.
Bravi i comprimari Paolo Antognetti nei panni di Nick, l’Ashby di Nicolò Donini ed il Sonora di Francesco Salvadori. Meritano menzione tutti gli altri: Dario Giorgelé, Paolo Ingrasciotta, Paolo Maria Orecchia, Cristobal Campos Marin, Enrico Picinni Leopardi, Yuri Guerra, Cristiano Olivieri, Orlando Polidori,Kwangsik Park nei rispettivi ruoli.
Discorso a parte per Eleonora Filipponi e Zhabin Zhang che avevano l’ingrato compito di portare in scena la terribile (agli occhi di oggi) scena di Wowkle e Billy Jackrabit. Ma loro non hanno alcuna colpa per il libretto ed hanno il merito di un’interpretazione che limita ogni accenno caricaturale. Bravi.Ugh… (.Cit)
In questa ricchezza, sguazza nel suo il coro preparato da Gea Garatti Ansini.
Bella la regia in 16:9 di Paul Curran con scene di Gary McCann e di luci di Daniele Naldi. Tutto molto filmico e centrato.
Alla fine, solo applausi. Se il buongiorno si vede da..la prima, il 2025 del TCBO promette assolutamente bene.

Ciro Scannpieco

Foto Andrea Ranzi

Stampa
Share.

About Author

Comments are closed.