Lo scorso 2016 non avevamo avuto modo di assistere al Werther del Comunale.
Fortunatamente la produzione è stata rispolverata per la stagione 2024 e – tenendo conto del risultato – sarebbe stato un vero peccato perdersela per la seconda volta.
In primis, perché l’opera di Massenet è musicalmente forte, ricca di contrasti emozionali, ancorché vocali. Dato il soggetto, non avrebbe potuto essere altrimenti.
Il libretto trae spunto dal Werther di Goethe che urla il dramma presente in ciascuno di noi. Werther e Charlotte sono entrambi incapaci di sottrarsi ad una sorte infausta che li costringe ad un dolore emotivo da cui non riusciranno ad affrancarsi. Se Werther si ribella all’infelicità con il più estremo degli atti, Charlotte – chiusa in una bolla – si isola in una vita non vissuta.
Nel dramma di Massenet, non esistono veri e propri “cattivi”, ma solo personaggi incapaci di scegliere la propria felicità. Werther è – prima di tutto – vittima di se stesso che degli eventi. Così come Charlotte che si sacrifica in nome di una promessa.
Anche ad Alberto, a cui tocca il ruolo di antagonista, tutto sommato si può rimproverare solo un superficiale egoismo, non di certo un animo malevolo.
Nel gioco drammatico in cui perdono tutti, la regia di Rosetta Cucchi sublima il concetto, risultando allo stesso tempo brillante, poetica ed intelligente. Mica poco.
La costruzione registica gira attorno a due elementi principali: una casa ed una poltrona fuori-campo sul lato destro della scena.
La casa del Borgomastro del primo atto è un luogo protetto, sereno e gioioso. Lo è nonostante la famiglia abbia vissuto il doloroso lutto della figura materna, la cui immagine ritratta appesa al muro appare gioiosamente consolatoria. La casa di Alberto, invece, è una sorta di gabbia emotiva dove i personaggi precipiteranno in reciproche solitudini. Anche qui fa capolino l’immagine della figura materna, sbilencamente appoggiata sul pavimento come se gli si attribuisse la responsabilità degli eventi. Infatti, Charlotte, infatti, si trova costretta in questa nuova e triste dimensione domestica solo per mantenere una promessa fatta al genitore in punto di morte.
Ai confini della scena c’è una poltrona da cui Werther, nel momento che precede il suicidio, ricorda quella felicità scivolatagli via troppo presto.
La dinamica delle scene è cinematografica quasi a riadattare al teatro la tecnica del piano sequenza. Le due linee temporali, quella della rimembranza e quella dell’istante che precede il suicidio, convergeranno al momento dello sparo, l’istante che segna ineluttabilmente la tragedia.
Il lavoro di regia è molto intelligente, con luci che creano dei meravigliosi effetti di trasparenza, svelando l’interno dell’abitazione e consentendo allo spettatore di spiare all’interno al focolare.
Così come Werther, che dalla sua poltrona rivede in quella casa la felicità negata. È un intrigante ed elegante gioco di rimembranze che funziona benissimo.
In scena non c’è nulla di più del necessario, ed è un necessario “poetico” prima che concettuale. Convincente anche l’utilizzo del palco del nouveau in formato Extra-wide, non sempre facile da gestire. Per dirla nella lingua dell’autore: chapeau!
Musicalmente siamo stati assolutamente coinvolti dalla bontà del cast, sebbene i due protagonisti abbiano un temperamento decisamente agli antipodi.
Dmitry Korchak è un Werther che piega al belcanto italico l’indole di Massenet. Ne esce fuori un protagonista accattivante, emotivamente forte con un canto ricco di intensità e sensibilità, a cui si può perdonare qualche incertezza di dizione, probabilmente per una lingua che non gli è congeniale. Gli fa da contraltare la Charlotte di Annalisa Stroppa con quel seducente timbro brunito che si illumina nella parte più alta del registro. La parte è – dal punto di vista interpretativo – molto varia ma lei riesce a far emergere sia il carattere della Charlotte giovane a casa del padre che quello della donna disperata.
L’Albert di Tommaso Barrea, è adeguato e vocalmente misurato. Il suo timbro, scuro e fermo, accompagna gli eventi senza confliggere con il dramma degli amanti.
Menzione per Claudia Ceraulo, le cui coloriture vocali, ben si prestano alla giovane età di Sophie. Bravi gli altri. Alessio Verna nei panni di Bailli, Dario Giorgelè e Xin Zhang nei panni di Johann e Schmidt. Un bravo va anche al Coro di voci bianche preparato da Alhambra Superchi.
Non ci siamo dimenticati della bacchetta. Se lo spettacolo anche musicalmente ha girato bene lo si deve alla concertazione sicura di Riccardo Frizza, che accompagna l’Orchestra del Teatro Comunale nel dramma goethiano, ottenendo dalla buca una prova complessa e ricca di sfumature.
Chiudiamo con una curiosità: «Il quadro raffigura mia madre , scomparsa nel 2012, con cui ho avuto un rapporto meraviglioso” – dice la Cucchi – “dovendo immaginare l’iconografia di una madre ho pensato a lei e quella immagine mi ha accompagnato e mi accompagna nel cammino di questo Werther».
Ciro Scannapieco