La prima volta non si scorda mai… e pure le successive: Sokolov a Bologna

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«Se c’è qualcuno che lo vede oggi  dal vivo per la prima volta, vi auguro di godervi questa prima volta». È molto facile scrivere un articolo quando nella chiusura della bellissima e densa introduzione al concerto di Fulvia De Colle c’è già il senso di tutto.
La mia prima di diverse volte la ricordo bene. Era il 2010 e fu uno Chopin di un’intensità che non mi è più capitato di ascoltare, almeno non così.
Fu un’emozione così limpida e cristallina, diretta, che non nego di aver irrazionalmente continuato a cercare quel Sokolov tutte le volte che un pianista si è seduto al piano.  Si potrebbe finirla qui.
Anche perché, cosa potremmo aggiungere su Grigory Sokolov che non sia già stato detto?
Ma ad aggiungere un tassello è lo stesso interprete che ogni volta riesce a raccontarci un nuovo spigolo del suo pianismo tetraedrico.
Nessun gesto ammiccante, mai una ruffianeria, persino il programma non ha titoli da hit parade classica. Eppure, ogni volta che mette mano alla tastiera accade qualcosa.
Sokolov ha il raro talento di purificare la musica di ogni elemento inessenziale, di trovarne il senso più autentico e di trasmetterlo.
Perché – senza voler essere ad ogni costo radical chic – probabilmente, ad aver avuto più opzioni, nessuno in sala avrebbe scelto di ascoltare William Byrd.
In fondo, il mondo di questo autore inglese, legato al tardo rinascimento, sembra così lontano dalla sensibilità più attuale che potrebbe anche risultare anacronistico.
Questo rende la sua musica distante e poco accessibile.
Tutto questo fin quando al piano non si siede il settantaquattrenne pianista di San Pietroburgo, sicuramente consapevole di non aver iniziato con un brano che gli potesse garantire i favori del pubblico. Ma quando quelle dita toccano il piano, tutta la verità di un mondo lontano ci arriva fresca.
Tutto quello che ci sembrava vecchio in Byrd, ora appare  limpido e attuale.
Sokolov rispetta la musica ma riesce a spogliarla di ogni aspetto di maniera che relega ogni componimento al tempo in cui è scritto per regalarla all’universalità.
In fondo, cosa c’è di più moderno di una ballata dal titolo “John Come Kiss Me Now”?
Dal punto di vista musicale i componimenti per tastiera di Byrd sono polifonici, ballabili e di grande inventiva melodica.  Le note escono dal pianoforte con grande elasticità ed intellegibilità. Le linee polifoniche si spostano dalla mano destra alla sinistra rimanendo monolitiche e leggere allo stesso tempo. Se la musica racconta l’uomo e ancestralmente i sui bisogni e le emozioni più viscerali, allora tutto può essere attuale in un racconto musicale che dal Seicento ad oggi esiste in un continuo presente emotivo.
La seconda parte del programma prevede sette Mazurche.
Le prime due, tratte dall’opera 30 sono componimenti giovanili, mentre le altre tre – op. 50, sono scritte da uno Chopin già trentenne. Sono opere struggenti, scritte per elaborare due cocenti delusioni amorose.
Sokolov tratteggia le melodie intense del componimento, senza mai eccedere in alcun eccesso patetico, dipingendo l’anima più sincera di quel dolore.
Le cascate di note talvolta sembrano bisbigliate, tanto sono delicate, per poi esplodere in un climax doloroso e maestoso che -però- non sfocia mai in eccesso di veemenza.
Seguono le tre mazurche op.50 che – come avrebbe detto George Sand – valgono più di quaranta romanzi ed esprimono più di tutta la letteratura del secolo.
S
ono vissute dal pianista con lucida ispirazione. Bellissima e vivace la prima in sol maggiore, solenne e quasi marziale la seconda. E’ nella terza, però, che la musica arriva in profondità.
Sokolov spreme da ogni nota il significato, con un’estrazione molto delicata per non alterarne il sapore. Bellissima la chiusura con l’ultimo do diesis che è sembrato risuonare di sempiterna e lancinante intensità.
Si chiude con le Waldszenen di Robert Schuman.
Qui capiamo ancora di più perché Sokolov ci arriva più di altri bravissimi interpreti. Sembra parlare il linguaggio naturale del pianoforte, con un controllo del suono che sembra assecondare spontaneamente ogni emozione del suo animo. Ed il suo animo sembra in sintonia con la musica. C’è come un filo che lega tutto assieme e senza accorgercene, anche noi facciamo parte di questo tutt’uno. L’addio finale – da solo – vale tutto il recital per quanto sia commovente. C’è spazio per un corposo palinsesto di bis (ben 5).

Uscendo dal teatro Manzoni mi sono chiesto come sarebbe stato se non avessi  avuto già più volte l’occasione di ascoltarlo. Concludo con due certezze: La prima è che Grigory Sokolov è un pianista di raro ed eccelso talento, che riesce ad emozionare come pochi. La seconda: invidio dannatamente chi ha potuto e potrà ascoltarlo in una  “prima volta”, provando quel brivido irripetibile che -a distanza di anni- ancora ricordo e cerco nei pianisti che ascolto.

Ciro Scannapieco

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