Finalmente «Il Trittico»: Al TCBO i tre atti unici pucciniani

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Aspettavamo da tempo questa data. Il Trittico per esteso è avvenimento così poco frequente che, le poche volte che impatta il cartellone, non resta che andare a vederlo.
Ci voleva l’anno pucciniano per rispolverare anche i libretti meno frequentati dell’autore.
Dio ci salvi dall’ennesima Bohème.  Siamo arrivati all’ultima chiamata.
Tant’è che si fa cronaca dell’ultima serata utile, ovvero del 12 Luglio, una settimana dopo la prima. Il cast è quello che potremmo definire “principale”, che cambia rispetto alla compagine alternativa solo per una manciata di interpreti.
Sarebbe ingeneroso dire che “non sia il suo”, ma Puccini scrisse queste tre opere in atto unico per fronteggiare il grande successo di “Cavalleria Rusticana”.
La gestazione non fu di certo semplice, tant’è che dal 1904, anno in cui il compositore iniziò a pianificare l’idea, i tre atti arrivarono sul palco solo verso la fine degli anni ’10. In sostanza furono le ultime opere composte dal compositore, eccezionando la Turandot – postuma – su cui lavorò fino alla fine dei suoi giorni e rimasta incompiuta.
Il Trittico bolognese riprende l’originale idea di ambientare l’opera nell’ambiente dantesco della Comedìa, per cui ognuno degli atti erano destinati ad una Cantica. Il Tabarro, per l’Inferno; a Suor Angelica il Purgatorio e Gianni Schicchi per il Paradiso.
Il registro che diventa man mano meno tetro fino ad arrivare a buffo nell’ultimo libretto.
Ad onor del vero, occorre dire che le tre opere non erano destinate ad una rappresentazione unica in sequenza e che solo Gianni Schicchi ebbe successo di botteghino mentre per le altre l’accoglienza fu piuttosto fredda. Questo causo un po’ di frustrazione in Puccini che aveva in Suor Angelica il suo componimento preferito.
Tornando allo spettacolo bolognese, così come nello Chenièr https://www.oltrecultura.it/2022/10/17/andrea-chenier-luomo-sopravvive-agli-ideali/,
Maestrini fa largo uso di retroproiezioni animate per ambientare le scene. Chi ci legge sa quanto poco si sia amanti di tale tecnica, eccezion fatta per queste rappresentazioni che fanno delle proiezioni un punto di forza. Anzi, negli spazi difficili del Nouveau, la tecnica risolve non pochi rebus.
Questo smonta il nostro pregiudizio snob: non è la tecnica a fare la differenza, ma l’idea.
Quella di Maestrini è potente. Ne “Il Tabarro”, sullo sfondo gli scaricatori sono costretti dantescamente a trasportare pesi senza sosta e ristoro. In Suor Angelica ogni elemento è sintomo di sospensione e tensione verso la salvezza. In Gianni Schicchi, sicuramente il quadro più riuscito, dove un’ammucchiata di corpi insozzati fa da base al letto del morente Buoso Donati.
Tutto organico e riuscito. Belle le scene di Nicolàs Boni, i costumi di Stefania Scaraggi e le luci di Daniele Naldi.
Passando alla musica, questa volta sul Golgota va Roberto Abbado.
E già, perché più che un podio la direzione al Nouveau assomiglia sempre di più ad un Calvario per via di un’acustica che tende ad ingoiare i cantanti. Nel tentativo di non buttare l’acqua sporca con tutto il bambino (ovvero di preferire lo sviluppo orchestrale a dispetto delle voci) il direttore mette in campo tutta l’esperienza evitando di forzare la bacchetta nello sviluppo ritmico e dinamico. Non sarà sublimata la penna di Puccini, ma almeno si sentono le voci. Si fa di necessità virtù e ci vuole bravura (tanta) anche in questo.
Abbiamo visto direttori più giovani, anche celebri, non tenerne da conto.
Per quanto riguarda i cantanti, sarebbe opera ardua nominarli tutti, per la vastità del Cast delle tre opere. Andiamo per ordine di gradimento. Il vero trionfatore della serata è Roberto de Candia, nei panni di Gianni Schicchi. Se da un lato è aiutato da un ruolo molto ruffiano e piacione, dall’altro lo interpreta con vocalità pulita e fraseggio elegante, senza mai indulgere a recitativi laddove il cantato diventava più tenue e complicato.
Chiara Isotton, nei panni di Suor Angelica e Giorgetta ha una voce di ottimo impatto ed un’interpretazione magistrale del ruolo. Brava nelle interazioni con Michele e nell’intensa “Amici fiori, voi mi compensate”. Due generazioni per due talenti meritevoli di citazione: l’energica Laura Cherici (La Suora infermiera e La Ciesca in Gianni Schicchi)) e la vivace Maria Cenname (Suor Osmina), quest’ultima dalla Scuola dell’Opera del TCBO.
Ne “Il Tabarro”, più in difficoltà gli uomini. Roberto Aronica – nei panni di Luigi – mostra qualche difficoltà timbrica che si accentua nel contrasto con l’amata, mentre Dario Solari è un Michele che ha qualche difficoltà nel registro basso (anche dovuta all’acustica di sala). Buona la prova di Chiara Mogini (in sostituzione di Marianna Pizzolato) che adatta con scaltrezza il suo registro alla parte, tratteggiando una Zia Principessa algida e rigida ed evitando terreni che non le sarebbero stati congeniali.
Ai due innamorati dello Schicchi (Giorgio Misseri e Darija Augustan) non possiamo che perdonare un velo di timidezza sonoro.

Poco impegnato (ma sempre preciso) il Coro preparato da Gea Garatti Ansini; il Coro di Voci Bianche è preparato da Alhambra Superchi.
Alla fine, il pubblico risponde con applausi – tre titoli in una sola serata con oltre quattro ore di spettacolo avrebbero potuto essere impegnativi.
Invece una sapiente regia, una misurata direzione ed un buon cast hanno meritato ogni battito di mani. Poi, quando ricapiterà ancora di vedere il Trittico nella sua completezza?

Ciro Scannapieco

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