Quando il mondo poliedrico di un’artista come Maria Grazia Tata incontra la maestrìa di un fotografo come Salvatore Di Vilio, il risultato non può che essere una sintesi di suggestione e bellezza.
Il sodalizio d’arte tra i due si realizza al Museo Campano di Capua, diretto sapientemente da Gianni Solino, in una mostra dal titolo “Cielo incluso, vedere gli dèi (potrebbe essere una storia per bambini, potrebbe”). Maria Grazia Tata, con un passato da architetto, si è trasferita nel viterbese da qualche anno. Qui coltiva, in un costante contatto con la natura, quella che lei stessa chiama “la pratica delle divinità minori”.
Quel senso del sacro che Maria Grazia ricerca e individua negli elementi semplici della Madre terra (foglie, oggetti di uso quotidiano, sete lasciate alle intemperie del tempo) e che lei definisce “paccotiglia cosmica”.
«Le divinità minori, preoccupate di come va il mondo, scappano dalla casa natale e si mettono in viaggio», scrive l’artista nella presentazione della mostra, che sarà possibile visitare sino al 15 giugno.
Quelle forme ancestrali “ritornano nella Natura e si fanno avvistare dal fotografo Salvatore Di Vilio” in una sorta di gioco degli specchi, che dalla forma materica rimanda ad immagini che scoprono agli occhi un mondo di colori resi inafferrabili dai ritmi serrati della modernità.
«La rivoluzione del neolitico – spiega Maria Grazia – nel passaggio stanziale dell’umanità e la scoperta quasi divina del susseguirsi ciclico delle stagioni, diede origine al senso del sacro verso una natura cui portare devozionale rispetto».
Parliamo di quella “Dea Mater Matuta” che è di casa nello straordinario Museo Campano di Capua dove le 160 “Matres” si incontrano con le divinità minori in una sorta di simbolico pellegrinaggio che le porta a far visita a parenti lontane. In tale contesto, esse portano in dono un album di famiglia e regali di pace. Nel percorso che si snoda lungo la sala delle Matres ci si imbatte nell’opera “più cuore, please”, un tappeto di frammenti di poesie di donne di tutto il mondo che reclama più amore. Una vera e propria offerta votiva alle divinità autoctone.
Ma la traslazione si materializza ancora di più nelle bende che fasciano in senso di protezione quei bambini in fuga dalle guerre e che nascondono le ferite bisognose della cura delle Madri. “Bende sacre” diventa, così, l’urlo raggelante di un’infanzia che invoca “MAI PIU’ GUERRE”.
Salvatore Di Vilio si appropria dell’universo sacro di Maria Grazia Tata e lo cristallizza in immagini di rara bellezza come nella foto di una centenaria partenopea nella quale egli propone la sua interpretazione di Mater.
Il fotografo di Succivo racconta il suo sodalizio artistico con Maria Grazia Tata nato nel corso della manifestazione di Aliano “La luna e i calanchi” (con la direzione artistica di Franco Arminio) e proseguita nell’esposizione nel cinquecentesco Palazzo Chigi- Albani di Soriano nel Cimino. “Alla base di questa collaborazione – spiega Di Vilio – vi è l’amicizia e il rapporto umano”. Un aspetto, questo, essenziale per l’artista atellano che, nei suoi scatti, è alla costante ricerca di una visione umana del mondo. La riprova di ciò è nelle molteplici pubblicazioni nelle quali Di Vilio ha esplorato un mondo rurale oramai perduto come “I giorni della canapa – storia per immagini in Terra di Lavoro”, “Fujenti”, “Trionfo e morte di Carnevale – un carnevale atellano”, Napoli dint’e fore”. Il suo occhio ingenuo lo porta a scoprire gli aspetti lirici della realtà dando forma ad autentiche poesie. Il suo costante lavoro sul territorio costituisce un’autentica conservazione della memoria.
Insomma, questa mostra rappresenta un’occasione imperdibile per riappropriarsi della primordialità che lega da sempre l’umanità alla madre Terra, bisognosa oggi più che mai di sacro rispetto.
Al Museo Campano sino al 15 giugno.
Franco Milone