Una panchina, quattro sedie e alcune superfici riflettenti per una scena teatrale a molteplici dimensioni, una tessitura di parole ed azioni che fondono il mito antico della Penelope omerica, lo rileggono e lo attualizzano, quindi lo liberano attraverso la riscoperta della donna, della propria libertà di scelta e della propria espressione corporea. Vincitore di tre premi nazionali il testo “Penelope, l’eredità delle donne” di Marco Balma, nell’adattamento e regia di Vanessa Leonini, è tutto questo e molto altro ancora.
Una ridda di pensieri, gesti e ritmi sonori che avvalgono e catturano lo spettatore fin dalle prime battute. La pièce rappresentata domenica 17 marzo 2024 al Teatro Genovesi di Salerno dalla Compagnia degli Evasi di Castelnuovo Magra (La Spezia) con un cast interamente declinato al femminile, è un lungo viaggio nel vissuto emotivo di una Penelope resistente, non priva di contraddizioni e conflitti, sia interiori che culturali, ma capace di sfidare e ridefinire il tessuto sociale che la circonda, plasmato da regole e ideali maschili.
Una Penelope che si propone, oltre lo stereotipo della donna fedele e in attesa, come potente metafora dell’affermazione di sé come ed in quanto “Donna”. Un allestimento moderno e contemporaneo che scandaglia oltre quella immagine consegnataci dalla tradizione, senza ovviamente scardinarla ma interpretando anche il silenzio di tanta attesa.
Si tratta di un plot narrativo che precede Omero e che sopravvive fino ai nostri tempi, ma alla rigidità di un ruolo ‘debole’ vale a dire di una donna “non abbastanza forte” per andare in guerra, la pièce contrappone una Penelope che seppure vecchia non esita a riannodare i fili della sua vicenda esistenziale e confessare la profonda inquietudine che ‘ha segnata, tra aspettative disattese e numerose rinunce; tutto questo, però, fino a quando una nuova consapevolezza l’ha resa protagonista di cambiamento più profondi e rispettosi del suo essere.
L’amore coniugale, la potente leva che l’ha sorretta nel tempo dell’attesa, non ha potuto risparmiarle comunque quel viaggio, squisitamente personale, che ognuno deve compiere dentro di sé per entrare in contatto con la sua parte più autentica, celata molte volte all’altrui sguardo per pura convenzione sociale. La Penelope che prende corpo recitativo è una donna intelligente e versatile, lei stessa un Ulisse in “guerra” ma non per combattere con le armi, piuttosto per conquistare una piena identità e con l’obiettivo di mettere a nudo quello che vuole “il cuore di una donna”.
E Penelope, per raccontarci la sua “guerra”, si sdoppia nel tempo e nella memoria del passato, Mafalda Garozzo veste i panni della donna matura e consapevole ma anche di Ulisse, mentre Monica Moro interpreta la Penelope giovane ed inquieta ma anche la Donna, infatti ad un certo punto una Lei ed un Lui si fronteggeranno in due monologhi carichi di sofferta speranza e di rinnovamento. Lei porta dentro di sé l’eredità delle donne come una ferita collettiva che non smette mai di sanguinare ma anche la forza nuova dell’autodeterminazione, nella libertà di agire e di realizzarsi senza condizionamenti, mentre Lui si propone, oltre la tracotanza maschile e guerriera, piuttosto ‘umile pianta della certezza‘ che vuole essere accettato in un amore che si sceglie ed accetta, reciprocamente e liberamente. Alle due interpreti di questa Penelope a specchio, che nella maturità rivive anche la sua giovinezza ed il suo passato, si aggiunge il pathos creato dalla presenza in scena delle tre Moire Sabrina Battaglini, Lucia Carrieri e Francesca Lopresti che rappresentano il destino nella mitologia greca ma anche l’unicità del vissuto emotivo della protagonista. La mente di Penelope, con il suo carico di pensieri ed emozioni mai totalmente decifrabili dagli altri (accade così per ognuno di noi) si materializza in scena nei corpi danzanti delle tre attrici, secondo geometrie cariche di estatiche movenze ma anche di una fissità più dolorosa e raccolta, metafora duellante di interrogativi che assediano certezze e spingono anche ad un cambiamento, difficile ma inarrestabile. Un’attesa tutt’altro che passiva e accomodante, carica invece di trepidante ribellione di cui le tre Moire si fanno officianti nella loro ritualità quasi sciamanica in cui gridano e sussurrano, richiamano alla Responsabilitá, riconducono al Dovere, disvelano la Sorpresa, agitano la Confusione, profetizzano il Futuro, invocano il Destino ed interrogano il Dolore. Insomma tutta la complessità di un cuore femminile, proteso alla conquista della Possibilità di scegliere e teatralizzata nei catturanti tableaux vivants che si scompongono e ricompongono, fino a quel magico finale del posizionarsi a cerchio delle tre attrici danzanti – cerchio simbolo di unità e di infinità ma anche del ciclo della vita. L’eterno femminino di Penelope ci partecipa la sfida all’inafferrabilità dell’animo femminile, tra dovere coniugale ed un eros mai del tutto negato e che non tace i giochi di seduzione nei confronti dei Proci pretendenti, pur se rifiutati, né i moti di ribellione alla forzata attesa, insomma una Penelope profondamente più ‘umana’ sul piano psicologico. La padronanza di mezzi e tecniche del linguaggio teatrale da parte delle protagoniste in scena è innegabile, quanto spontanea è la condivisione emotiva dello spettatore in questo altalenante intreccio di ricordi, propositi e traguardi nei quali riconoscersi, riconoscendo altresì la drammaticità che investe cambiamenti culturali così profondi.
La sapiente regia di Vanessa Leonini ed il gioco di luci ed atmosfere firmato da Luigi “Gino” Spisto con il supporto tecnico di Alessandro Vanello unitamente alle curate scenografie di Francesca Lopresti hanno innervato, ognuno per la sua parte, in modo accattivante tutti lo spettacolo. La sua presa emotiva è forte, la bravura attoriale indiscussa, mentre un’atmosfera sonora altamente evocativa e catartica, che sembra risalire da una mitica ancestralità e dal profondo dell’inconscio, si consegna al nostro tempo per condurci ad un finale in cui il cerchio si chiude nella danza, a compimento però di un duplice viaggio, questa volta.
C’è un Ulisse che ritorna trovando una nuova Penelope alla quale dovrà raccontare la sua storia. Una scrittura di rivisitazione che è anche un messaggio contro l’assurdità e lo spreco della guerra, a favore di un’emancipazione non soltanto femminile ma dell’uomo inteso come essere umano, contro stereotipi e luoghi comuni. E la famosa locuzione latina per cui ‘homo faber fortunae suae’ ci soccorre, in un’auspicio di speranza e cambiamento nella relazione tra i sessi e di pace nelle relazioni tra gli uomini tutti.
Applausi convinti del pubblico per uno spettacolo che si consiglia di vedere.
Marisa Paladino