Un’ottima «Manon Lescaut» inaugura il TCBO

0

Questo è l’anno di Puccini. Non solo perché il prossimo 24 Novembre saranno cento anni dalla scomparsa del compositore, ma anche e soprattutto per i cinque  titoli pucciniani in programma nel ricco cartellone ’24 del TCBO.
Non parliamo stavolta dei titoli greatest hit, come Tosca, La Bohème, Turandot o Butterfly, che hanno già popolato i programmi bolognesi nelle scorse edizioni, ma di un vero e proprio tributo al Puccini meno mainstream.
Fatto sta che ad inaugurare la stagione 2024 c’è Manon Lescaut ed in cartellone ha trovato spazio un inusuale trittico composto da Il Tabarro, Suor Angelica e Gianni Schicchi, oltre all’immancabile Tosca.
In questi tempi bui di cancel culture, il titolo potrebbe risultare scivoloso e sessista (come la Traviata di Verdi o  decine di altri titoli nel panorama del melodramma).
Fortunatamente, nel medioevo di ritorno mascherato da progresso, l’opera è (ancora) al sicuro in una sorta di tana libera tutti. Se in Inghilterra e Stati Uniti l’intolleranza culturale si è scagliata più volte contro il lascito artistico dell’autore lucchese, in Italia questa moda revisionista ancora non è arrivata.
Meno male, perché, a violentarlo con il metro di giudizio oggi, Manon potrebbe sembrare un libretto inaccettabile.
Ma sarebbe fuorviante.
È vero che in Puccini la donna è spesso artefice del deterioramento di un amore puro e dello scivolamento degli eventi verso la tragedia.
Manon vuole tutto senza rinunciare a nulla: ricchezza, amore, lussuria.
Questo porterà prima all’esilio dei due amanti e poi alla morte della donna che non riesce mai a cogliere le occasioni salvifiche che le continue sliding doors della trama continuano ad offrirle.
Ogni nodo decisionale sembra rafforzare la moralità inquinata di Manon determinandone -poi – le disgrazie. Con il filtro di un certo moralismo di ritorno si potrebbe dire che sarebbe stata più felice se non avesse abbandonato il modesto appartamento con Des Grieux a favore della vita sfarzosa garantita dal vecchio Geronte.
Forse sarebbe riuscita a scappare se non avesse tentato di portare con sé tutto l’oro.
In ognuno di questi momenti, la scelta edonistica ha contribuito a trascinare gli eventi verso l’epilogo mortale.
Ma sarebbe sbagliato enfatizzare solo gli aspetti deteriori.
Manon è la prima sconfitta, una donna che perde tutto, anche la vita, trascinando nella disgrazia il povero amato.
Tralasciando le onanistiche riletture da patriarcato 3.0, in Puccini l’amore è un eterno conflitto dove il rapporto con l’amata sembra risolversi nella tragedia.
Eros che scivola in Thanatos. Solo in Turandot, quando ormai la fine della vita del compositore era vicina, questo rapporto declinante sembra invertirsi. Calaf e Turandot, infatti, compiono il cammino inverso che li porta dal Thanatos all’Eros.
Ma anche qui, la malvagia regina non ci fa una gran figura.
Solo grazie alle virtù dell’uomo l’algida e crudele donna trova salvezza…e apriti cielo.
Con il metro di oggi dovremmo censurare anche Turandot o derubricarla a operetta didascalica.
Forse l’errore è rileggere la storia con gli occhi del presente senza dare al giudizio i necessari ampi e profondi orizzonti storici di osservazione.
Gli occhiali da vicino del belpensantesimo sono solo un trucco per correggere una sorta di presbiopia culturale troppo frequente oggi.
Aprendoci all’ascolto senza pregiudizi, invece, il conflitto, in Puccini genera una forza melodica di grande impatto, con tensioni che vengono sostenute fino al limite prima di risolvere in un approdo tonale che non è mai sicuro, o almeno non lo è a lungo.
Tutto è epico, dialettico.
Nella sua musica si assemblano esperienze musicali diverse che avvicinano la tradizione melodrammatica italiana alle tendenze armoniche mitteleuropee, fino a quelle più moderne di Stravinsky. Musiche accompagnate sempre da libretti di prim’ordine.
Sia chiaro, scrivere per Puccini non era semplice per quanto fosse maniacalmente attento al metro financo ad ogni accento della frase. Il fluire delle linee è prima ritmico che melodico.
Tutto ciò porta ad una forza espressiva della parola cantata che totalizza l’ascoltatore, proprio come l’amore travolge l’amato.
Ma torniamo allo spettacolo. Lo affermiamo subito: Manon Lescaut del TCBO andata in scena lo scorso 26 Gennaio ci è piaciuta in tutti i suoi aspetti.
Sul Podio Oksana Lyniv ha imposto il suo marchio di fabbrica, interpretando la partitura con un’impostazione asciutta e mai infettata di un melodismo improprio.
Quando è lei a dirigere emergono dei colori orchestrali usualmente nascosti, con voci strumentali bene a fuoco ed un fronte sonoro che sembra allargarsi. In fondo, con questo primo Puccini che strizza l’occhio a Wagner era come giocare in casa.
Di contro, questa verticalità nella direzione, unita all’endemico vizio acustico della sala di ingoiare le voci sopranili più leggere, non ha reso affatto facile la serata di Erika Grimaldi.
Il Soprano ha tenuto botta, nonostante le dinamiche orchestrali provassero di tanto in tanto a farle qualche sgambetto con volumi sostenuti. Di certo un’attenzione in più ai cantanti nella gestione del suono avrebbe aiutato.
Alla fine la Grimaldi schiva tutte le pallottole che vengono dalla buca e porta a casa un’ottima prestazione. Sul palco, poi, restituisce tutta la sensualità e la carnalità del personaggio.
Bella e brava. Chi non ha problemi è Luciano Ganci, che, nonostante fosse al debutto nei panni di Des Griux, domina la parte con sicurezza.
Il suo strumento è potente, limpido in alto, agile nel solfeggio ed aggraziato quando la parte necessita di colori più tenui. Fatichiamo a trovargli anche un solo difetto.
Menzione d’onore anche per il Lescaut di Claudio Sgura che gestisce la parte con grande abilità.
Tra gli altri spiccano Giacomo Prestia nei panni di Geronte, il Maestro di ballo interpretato da un ottino  Bruno Lazzaretti, alla sua ultima produzione di una straordinara carriera (ma ne avrebbe ancora da offirire e…non si sa mai) e l’Edmondo di Paolo Antognetti.
Belli anche gli stornelli del Lampionaio cantati da Cristiano Olivieri.
Al solito, magistrale la prova del coro diretto da Gea Garatti Ansini.
Ci siamo tenuti le ultime note per l’intelligente regia di Leo Muscato con scene di Federica Parolini e costumi di Silvia Aymonio.
Si fa di necessità virtù, sfruttando con saggezza le atipiche proporzioni sceniche del Noveau.
La scena presenta due apogei contrapposti ai due lati del palco dove si esplica il conflitto tra i personaggi, in mezzo accadono gli eventi.
È un continuo movimento che porta i personaggi dai lati al centro del proscenio,  con ripetuti avvicinamenti e fughe.
Un po’ come l’amore dei protagonisti che troverà convergenza solo alla fine, quando i due si rincontreranno al centro di un deserto mortale per Manon.
Non sarà la più ricca tra le scenografie ma funziona, è furba e si incastra magnificamente con gli spazi scenici.
Del resto, almeno fino al 2026, il Nouveau sarà la casa dell’opera a Bologna, ma se il buon giorno si vede dal mattino… questo sarà un anno buono.

Ciro Scannapieco

Foto di Andrea Ranzi ®

Stampa
Share.

About Author

Comments are closed.