In questa intervista ad Alfonso Pacifico, Managing Director dell’Hotel Caruso e ancora in questo ruolo fino a martedì 31 ottobre, vige una regola ferrea e non perché ci sia stato un accordo preventivo ma soltanto per lenire il distacco, per addolcire il cambiamento. Dunque non si parlerà della sua promozione, della sua nuova destinazione, dello Splendido e di Portofino, di un traguardo meritatissimo e di quello che lo attende e che, come è giusto che sia, si configura già come preludio di nuovi successi e di ulteriori obiettivi raggiunti con grande attenzione e talento.
Ci si concentrerà pertanto sul Caruso: ricordi, esordi, progetti, esperienza, persone, colleghi, affetti.
Per la nostra intervista avremmo potuto scegliere una location panoramica, uno dei tavoli del Caruso Grill, un divanetto dell’Infinity Pool o le sedie che guardano le bifore bianche del Loggiato, ma l’emozione che caratterizza il momento richiede probabilmente una concentrazione diversa. Restiamo dunque in ufficio, nel suo ufficio, come se fosse una comune e non penultima giornata di lavoro e questo permetterà di affrontare tutto in modo più semplice.
Cosa lasci per sempre di te al Caruso e cosa, invece, porterai via con te?
«Sicuramente una parte di tutti i lavori e dei restauri conservativi che hanno interessato e cambiato il volto di questa proprietà. Poi, ovviamente, una parte di me resterà qui. E porterò via una parte di tutti voi, di tutti i colleghi».
L’ospitalità è una creatura complessa, fatta di dettagli e dedizione: ogni qualvolta hai accolto un ospite al Caruso qual è stato il tuo primo pensiero? E quali i timori, se ne hai mai avuti?
«Il mio primo pensiero, quando accolgo ed incontro un ospite, è capire cosa lo ha motivato a raggiungere Ravello, il perché del viaggio. Timori, fortunatamente, non ne ho mai avuti».
Nemmeno a cospetto di un ospite difficile?
«A mio avviso non esistono ospiti difficili: sono convinto che ogni persona abbia una propria storia da raccontare e il compito di chi sceglie questo lavoro è proprio quello di restare ad ascoltare senza giudicare ma soprattutto pronto a soddisfare le aspettative, in tutte le sfaccettature possibili».
Ci riveli, a pochi giorni dalla tua partenza, il luogo, l’angolo, il punto esatto di questa struttura che, irrimediabilmente, ti porterai nel cuore?
«Sicuramente l’angolo che chiamiamo del “Caimano” e, più precisamente, la scala che porta giù, verso i giardini. Da quel punto esatto il panorama è un quadro dipinto che cambia quotidianamente nelle sfumature: si passa dal blu chiaro al blu cobalto in base al modo in cui viene illuminato dal sole o toccato dal passaggio del vento. Nel corso degli anni ho imparato che la visuale cambia a seconda delle stagioni e di come la luce del sole si riflette sull’acqua».
Il tuo primo giorno al Caruso: la prima persona a cui hai stretto la mano e quella cui in un primo momento non avresti voluto rivolgere la parola, e che poi si è rivelata preziosa e un grande amico/a?
«Nel mio primo giorno al Caruso ricordo di aver soggiornato alla camera 105. La prima persona che ho conosciuto è stata Arianna Mansi, una dei nostri Senior Front Office Agent: è stata proprio lei ad accompagnarmi in camera. In realtà è stato un incontrarci nuovamente perché ci eravamo già conosciuti ad un matrimonio. Per la seconda parte della tua domanda, ti dico che le persone tendono a rivelarsi subito per quello che sono, nel bene e nel male, e che non necessitano di un tempo di gestazione. Non avevo comunque motivo di non rivolgere la parola a qualcuno anche perché all’inizio dovevo necessariamente conoscere tutti e tutti. E tutti, infatti, si sono rivelati preziosi perché mi hanno raccontato la propria storia, il passato di questo luogo e ogni angolo della proprietà».
Ultima notte al Caruso e ultima notte a Ravello da Managing Director: puoi scegliere la stanza in cui dormire, quale scegli, perché e cosa vorresti accanto al tuo letto, sul tuo comodino?
«Sceglierei la camera 301: è quella che ha un terrazzo a 360 gradi che consente quasi di toccare Ravello e l’intera Costiera Amalfitana. Accanto a me vorrei ovviamente la mia famiglia e sul comodino un libro bianco su cui scrivere la prossima storia».
La conclusione di questa intervista è difficile da descrivere: posso solo dire che abbiamo provato a nascondere un’emozione comprensibile e naturale, a deviare dall’inevitabile malinconia cambiando argomento, scherzando, di solito si fa così, di solito ci si riesce.
«Siamo stati bravi, forse: a non nominare adesso quello che sarà, la Liguria e i nomi dei colleghi che da Alfonso Pacifico impareranno tanto, anzi di più, come è avvenuto per me e per tutti quelli che sono qui e che qui sono cresciuti professionalmente».
In fondo siamo in ufficio, il solito ufficio familiare con i telefoni che squillano e le mail che si accavallano velocemente: fingiamo che sia un giorno come gli altri, pieno zeppo di corrispondenza, di idee da portare avanti, di ospiti da rendere felici e conquistare per sempre. Lo Splendido e Portofino possono attendere: mancano ancora un po’ di giorni, un po’ di ore.
Ed Alfonso Pacifico è ancora del Caruso. Del suo Caruso.
Emilia Filocamo