«Benché nella mia famiglia non ci sia nessun artista, io ho deciso di diventare un cantante da quando ero piccolissimo. A sei anni salivo sulla sedia e imitavo i tenori che vedevo in televisione. Poi ho cominciato a studiare, prima con Marcello Ferraresi, poi con Piero Giuliacci».
È Vincenzo Costanzo a parlare; appena trentunenne ma già apprezzatissimo tenore della scena internazionale, torna nella sua Napoli per «Madama Butterfly» al Teatro di San Carlo (repliche fino al 28 Settembre) e sembra davvero entusiasta degli onori che la città di Partenope gli tributa:
«Non è vero che nemo profeta in patria: è il secondo titolo che faccio al San Carlo e ho ritrovato una Napoli meravigliosa e il sostegno di tutti, coristi, orchestra, direttori che tifavano per me, napoletano. Non so se merito tutto questo amore, ma riceverlo è bellissimo».
Nel ruolo di Pinkerton il cantante si è cimentato più volte, ma interessanti sono le sue riflessioni riguardo il personaggio, spesso considerato cinico e sprezzante, ma che a suo dire possiede una profondità d’animo che si rivela nella parte finale del dramma:
«Ho interpretato tanti Pinkerton e mi sono convinto di una cosa: Pinkerton è un giovane della marina americana molto inconsapevole, non si rende conto di quello che fa e prende tutto alla leggera sentendosi il padrone del mondo. Ma quando ritorna nel terzo atto e vede il suo bambino, davanti a delle emozioni così forti si rende conto che ha commesso un grande errore: aver giocato con i sentimenti per inseguire i suoi bisogni del momento. Io ho sempre guardato a Pinkerton con gli occhi del bambino abbandonato. Sono cresciuto con i miei nonni, quindi quella esperienza è stata per me vincente per far venire fuori il personaggio, soprattutto nel terzo atto».
Tenore pucciniano per eccellenza e dotato di grande tecnica vocale, Costanzo ci tiene però a sottolineare che la tecnica non è sufficiente per rendere partecipi gli spettatori:
«Per quanto è vero che dobbiamo essere dei grandi tecnici, perché senza tecnica non si canta bene, bisogna però riuscire a cantare con il cuore. Quando da spettatori andiamo a vedere l’opera non ci ricordiamo di chi canta tecnicamente bene, ma dei grandi interpreti, di coloro che ti aprono una ferita nel petto o ti lasciano una gioia nel cuore. Noi cantanti facciamo questo, regaliamo emozioni. Chi in scena non è capace di farlo deve cambiare mestiere».
Dell’allestimento al San Carlo apprezza tutto, dalla regia alla direzione:
«Ozpetek è un grande. La sua umiltà lo colloca tra i grandi. Quando abbiamo provato insieme ha sudato e patito con noi. Inoltre ci ha dato degli spunti cinematografici che sono importanti nel teatro per sfuggire alle caricature in cui spesso l’opera cade senza volerlo. Mi sono molto divertito. Sono rimasto piacevolmente colpito anche dalla maestria di Dan Ettinger: niente a tempo, non è un direttore/metronomo, ma nonostante ciò, tutto nel tempo. Dai grandi c’è sempre da imparare. Io continuo ad imparare tutti i giorni e ho la fortuna di essere a fianco di queste persone che mi danno tanto».
Quanto alle regie, moderne o tradizionali, nella visione del tenore non esistono chiusure:
«Ci sono regie moderne che funzionano meglio delle tradizionali e allo stesso tempo delle regie tradizionali che non funzionano per niente. Tutto si gioca sul buon gusto».
Buon gusto che informa anche il suo stile vocale, che rifugge la spettacolarità eccessiva delle voci forti in favore del lirismo elegante:
«Tutto va cantato come se fosse belcanto. Se noi cantiamo Wagner, o anche il verismo puro spingendo esageratamente le voci, tutto si mortifica. Bisogna cantare con la propria voce, con i decibel della propria voce, e fare quello che è giusto per sé, rifiutando eventualmente i ruoli che non ci si confanno. A me è successo di rifiutare qualche ruolo perché non mi sentivo pronto. Oggi, a 31 anni, canto Tosca, Simon Boccanegra e anche Macbeth, ma mi considero comunque un tenore pucciniano».
«Madama Butterfly» è in cartellone al Teatro di San Carlo dal 12 al 28 settembre 2023
Angela Caputo