Un’altra grande orchestra la Münchner Philharmoniker diretta dal colombiano Andrés Orozco-Estrada si è esibita sul belvedere di Villa Rufolo sabato 15 luglio scorso nell’ambito del Ravellofestival in corso, affiancando il pianista viennese Lukas Sternath in un nutrito programma concertistico comprendente l’Ouverture dal “Tannhäuser” di Wagner, il Concerto per pianoforte in la minore, op. 16 di Edward Grieg e le due magnifiche opere orchestrali rispettivamente di Richard Strauss e di Petr Ilic Cajkovskij, “Don Juan” e l’Ouverture-fantasia in si minore “Romeo e Giulietta”.
Se nel brano d’esordio l’orchestra non è risultata particolarmente coinvolgente e comunicativa, sebbene su una delle pagine più avvincenti della produzione wagneriana che apre, con la sua conflittualità tra due grandi temi esprimenti il dissidio tra l’amore ascetico e quello sensuale, la prima delle tre opere romantiche wagneriane in cui l’autore dà inizio ad una propria ricerca sonora innovativa che lo avrebbe condotto ad un radicale rinnovamento del teatro musicale, nel successivo suggestivo concerto di Grieg (1868) è perfettamente entrata nel vivo del linguaggio musicale del compositore norvegese ora in sintonia ora in dialogo dialettico con il pianista solista, iniziando un’avventura che nei successivi brani orchestrali proposti ha culminato in una vasta narrazione fatta di puro suono in cui tutte la compagini orchestrali, e i singoli timbri, sotto una guida direttoriale nello stesso tempo calda ed elegante, si sono integrati con equilibrio e vigore.
Il giovane pianista Lukas Sternath ha conquistato l’attenzione affrontando con piglio energico e carattere uno dei più famosi concerti per pianoforte e orchestra, dimostrando valentia tecnica ed interpretativa. Dopo l’esordio maestoso, il solista contrappuntato dal complesso orchestrale ha iniziato il suo andare raposodico conducendo l’uditorio con tocco sicuro nella struttura formale del gioioso primo movimento Allegro molto moderato che si svolge in un affiatato dialogo tra pianoforte e orchestra nella proposizione dei due temi prima esposti dall’orchestra attraverso il bel suono degli archi e dei fiati e quindi dei violocelli che delineano il secondo tema, poi ripresi dal pianoforte con lievi variazioni fino alla virtuosistica cadenza del primo movimento, per poi inoltrarsi nella intima melodiosità del secondo movimento Adagio.
È l’orchestra qui a introdurre un clima lirico più tipicamente nordico per poi fare spazio all’incantevole ingresso del pianoforte con una sorta di ricami, passaggi abilissimi in scala ricchi di colore e un procedere fantasioso che conduce allegante rarefazione finale.
Ancora un preciso carattere norvegese è scaturito con energia dal ritmo di danza del terzo movimento che attraversa vari andamenti dinamici, non senza una sezione pù lenta “Andante” in cui il flauto assume un ruolo di primo piano sul dialogo tra pianoforte e violoncello prima del contrastante virtuosistico Presto conclusivo.
La seconda parte del programma ha per forza di cose rimandato alla letteratura, in particolare, nel brano di Strauss, alla vicenda di Don Giovanni che ispira e dà il titolo al poema sinfonico straussiano, uno tra i pù riusciti e concentrati dell’autore.
L’orchestra con la precisa guida del suo direttore ha sviscerato nei due movimenti, l’Allegro molto con brio e l’Allegro giusto, la contrapposizione di emozioni diverse trascorrendo dall’esultanza iniziale al senso di morte finale, parabola sonora della drammatica vicenda del personaggio, dimostrandosi l’orchestra all’altezza di un tessuto sinfonico articolato, intriso di drammaticittà tematica, densità di scrittura anche polifonica di contro all’emergere di singoli timbri evidenziati ad arte come nel bellissimo passaggio per oboe che incarna nel suo suono malinconico una delle due scene d’amore, in una narrazione che, come è tipico del principio della musica a programma alla base di questo tipo di compiosizione, è tutta sonora, incasellate tali scene tra il vitalismo iniziale che costituisce il mitico protagonista e il desolante annientamento finale.
Un’altra grande storia, quella shakespeariana di Romeo e Giuletta, ha ispirato e improntato di sé l’ultima composizione eseguita, l’ouverture omonima di Cajkovskij eseguita la prima volta nel 1886. È un’ouverture-fantasia di cui il complesso di Monaco è riuscita a rendere la complessa e coloristica scrittura orchestrale che attraverso il sapienete gioco timbrico, le sfaccettate dinamiche, la ricchezza dei contrasti realizza nei due movimenti che la costituiscono, l’ Andante non tanto quasi moderato e l’ Allegro giusto, una grande vicenda di amore rancore e morte che ci cattura con il fascino di un racconto. All’insegna di un’allegra complicità con il pubblico voluta da Estrada i due bis concessi: l’ouverture dalla Carmen di Bizet e il trascinante finale dall’ouverture del Guglielmo Tell di Rossini che hanno entusiasticamente terminato la serata.
Rosanna Di Giuseppe