Avere 16 anni ed essere alla seconda presenza sul palco del Teatro San Carlo è quanto può vantare Alexandra Dovgan, pianista russa che, dopo il recital dello scorso anno nel Festival Pianistico, venerdì 16 giugno alle 19 sarà protagonista con l’Orchestra del Massimo napoletano diretta da Dan Ettinger.
La già pluripremiata pianista sarà solista nel «Concerto per pianoforte e orchestra n. 2» di Chopin, mentre la seconda parte della locandina propone la «Sinfonia n. 9 in mi minore “Dal nuovo mondo”» di Dvorák.
Il «Concerto n. 2 in fa minore per pianoforte e orchestra, op. 21» è in realtà il primo ad essere stato composto da Chopin tra la fine del 1829 e l’inizio del 1830, anno in cui ebbe la prima esecuzione a Varsavia il 17 marzo, naturalmente con l’autore al pianoforte.
Il brano, appassionato e relativamente poco complesso sul profilo strutturale, è stato fatto oggetto di letteratura epistolare sentimentale, in gran parte apocrifa e postuma, a partire da quella che sarebbe intercorsa tra il musicista e la dedicataria, la fascinosa contessa Delphine Potocka.
In verità è ben più documentato l’ardore del giovane Chopin per la studentessa di canto Konstancja Gladkowska, che avrebbe ispirato il Concerto in fa minore, tonalità certo non focosa, più adatta a ospitare una dolorosa rinuncia che un amplesso.
«Forse, per mia sfortuna, ho trovato il mio ideale, a cui sono rimasto fedele, pur senza dirle una parola, per sei mesi – confessava Chopin – quella che sogno, a cui ho dedicato l’Adagio del mio Concerto…».
La «Sinfonia n.9 in mi minore “Dal Nuovo Mondo”» di Dvorak, datata 1893, celebra una nazione multietnica, dai clangori del progressi ai suoni afroamericani a quelli dei nativi americani, non casualmente rappresentati nel funerale di un eroe pellerossa, Hiawatha.
Nel celebre e struggente “Largo” troviamo il corno inglese, definizione da “angolato” e non da “anglosassone”, intonare una melodia ispirata a “The Song of Hiawatha”; nel primo tempo trova protagonismo sia materiale tematico afroamericano dello spiritual “Swing low, sweet chariot” che il luminoso rumoreggiare delle metropoli statunitensi, ma quello di Dvorak non è un cedere passivo ad una fascinazione americana, come egli stesso precisa precisando che la Sinfonia n.9 raccolga ed esprima «impressioni e saluti dal nuovo mondo [..] e l’influenza dell’America può essere avvertita da chiunque abbia “fiuto”».
Leggi sul Corriere Del Mezzogiorno 16.06.23