Un pianoforte nero con lo sgabello a sinistra, alle spalle un grande lenzuolo bianco a tutto cielo scenico che servirà da quinta, due sgabelli centrali uno bianco e l’altro nero, infine una toilette a specchio girevole, questa l’ambientazione di “Intermezzo in La minore” di Gabriella Ghilarducci, con la regia di Luca Brozzo.
Lo spettacolo, liberamente ispirato al testo Sonata d’autunno di Ingmar Bergman, nato per il teatro e poi diventato film nel 1978, è stato rappresentato sabato 15 aprile al Teatro Genovesi. Tutto ruota intorno ad un dramma psicologico e familiare, pronto ad esplodere tra una madre e la figlia, lontane da anni, che si ritrovano dopo la morte del secondo marito della madre.
La compagnia Teatro dell’accadente di Forte dei Marmi si è misurata con un testo non semplice e che arricchisce il programma già molto interessante di questa 14esima rassegna del Festival Nazionale Teatro XS Città di Salerno. Ambra (Barbara Pucci) la figlia è una donna tormentata, ha un marito Maurice (Luca Brozzo) incapace di dimostrarle il suo amore, la madre di lei è Sophie (Gabriella Ghilarducci) è una pianista di fama internazionale, l’altra figlia Giada gravemente ammalata è dietro la quinta bianca, una figura soltanto evocata che non compare mai in scena. Nella storia, restando nel lessico musicale, ogni personaggio esegue il proprio pezzo da solista, è la solitudine, infatti, che scandisce i rapporti, anaffettivi o soltanto segnati dall’incomunicabilità. Si comprende, poi, il titolo da una battuta della figlia che accusa la madre di avere messo al mondo lei e la sorella soltanto come un semplice intermezzo tra sonate più importanti, quelle di una carriera vissuta tra applausi e successi. La scena iniziale si apre con il marito Maurice che ricorda l’incontro con Ambra in un convegno medico, lei è una giornalista, lui le descrive il luogo isolato in cui vive e la invita, lei accetta e si mostra a suo agio, dopo poco lui le chiede di sposarlo. Ambra desiderava qualcuno che l’amasse profondamente ma il marito non sembra rassicurarla, quindi il loro rapporto, rispettoso e condito di buone maniere, scorre in assenza di desiderio soprattutto per Ambra. La donna voleva forse dimenticare un amore giovanile contrastato dalla madre, e quel luogo isolato, dove ha accettato di vivere, è all’opposto di come vive la madre, sempre in pubblico e sotto i riflettori; forse ha sacrificato anche le sue ambizioni personali, e di quell’amore passato un bambino che non è mai nato, mentre il figlio avuto con Maurice è morto precocemente.
La sua ferita più profonda, però, nasce dalle poche premure e disattenzioni della madre. Sophie intanto arriva, l’invito della figlia vorrebbe darle serenità dopo il lutto, lei però non appare particolarmente affranta, è sempre piuttosto sicura di sé, anche se deve fare i conti con un dolore alla schiena che le crea qualche problema al pianoforte.
La donna sembra avere avuto tutto, talento e successo, più di un marito accanto e altrettanti amanti, le due figlie a completare la sua esistenza, salvo il drammatico momento in cui confesserà alla figlia che le sue ambizioni maggiori sono state la musica ed il riconoscimento pubblico, passione indiscussa ma, forse proprio per questo, ha rapporti molto distorti intorno a sé.
Una madre così è stata ammirata e detestata da Ambra, che ha sempre cercato, ma inutilmente, la sua approvazione, soffrendo dei suoi tanti allontanamenti da bambina e non riuscendo mai a colmare questo profondo vuoto d’amore.
Alla notizia che Giada è a casa della sorella Sophie decide d’incontrarla, le ombre dietro la quinta bianca rimandano un incontro fugace, che turberà non poco la donna. A cena scende poi con un vistoso abito rosso, sembra debba entrare in scena, alla vista del pianoforte Sophie chiede alla figlia di eseguire un famoso preludio che stronca nell’interpretazione, sedendosi quindi al piano, con il virtuosismo che le appartiene, la donna umilierà Ambra ancora una volta. L’accaduto è il preludio di una notte insonne dove un confronto serrato, duro e senza sconti, attende le due donne.
Ambra accusa la madre di avere trascurato la famiglia, di averla costretta ad abortire e di avere preteso amore da tutte le persone accanto a lei senza essere capace di ricambiare. Sophie, invece, ha da farsi perdonare di avere chiuso Giada in una casa di cura non solo per l’aggravarsi della malattia ma soprattutto per vendicarsi di un tradimento, la ragazza si era infatti innamorata del suo compagno.
Lo scontro, intanto, è di superficie perché al mattino tutto resta come prima. Sophie, dopo avere chiesto un impossibile perdono a Giada, riparte ancora una volta all’improvviso per Parigi, un agente da lunghi anni innamorato di lei l’aspetta, un candidato a diventare il suo terzo marito, tutto il resto è ancora una volta alle spalle.
Per Ambra, invece, è l’ennesimo abbandono e, come una cattiva bambina che aspetta il perdono, le scrive chiedendole scusa per averla ferita, mentre resta sola con le sue paure ed il tormento di una maternità perduta più volte. Maurice intanto l’abbraccia, vorrebbe condurre Ambra dalla madre, ma lei ha una crisi di pianto, ha paura di un ennesimo rifiuto, lui sembra rassicurarla che non sarà così, del resto sono sempre madre e figlia, tacendo ancora una volta la parola dal valore taumaturgico.
Gabriella Ghilarducci è una madre convincentemente egocentrica, calata pienamente in un personaggio preso da sé stesso e dalla propria Arte, di fatto sostanzialmente sola di fronte al tempo che passa, il resto mere comprimarie presenze nella sua vita. A tanta frivolezza si contrappone la remissività della figlia, una Barbara Pucci che dà una prova attoriale che si apprezza ma che non riesce a rendere, nella pienezza, le tante ombre del rancore, senso di colpa e rimorso, proprie del personaggio. Luca Brozzo, in una pièce dove le protagoniste femminili prendono con forza la scena, resta un osservatore insicuro della propria e dell’altrui vita, nel suo disincanto incapace di esprimere sentimenti e, pertanto, altrettanto solo.
Ognuno, purtroppo, non è accolto dall’altro, restando chiuso nell’impossibilità di superare il proprio rancore e le proprie recriminazioni, di liberarsi dai sensi di colpa e di ottenere un perdono per le crudeltà o le disattenzioni inflitte o subite.
La messa in discussione di sé stessi, del resto, è veramente difficile e non appartiene neanche a Maurice, Ambra e Sophie, che restano condannati, ognuno, ad un’irrimediabile solitudine.
Marisa Paladino