Fa un certo effetto trovarsi all’EuropAuditorium per questo inizio di stagione e non nei più consueti spazi del Comunale.
Si pensava che la recente Traviata fosse bastata per far familiarizzare il pubblico con i nuovi spazi ma è proprio nelle occasioni speciali che si prende atto di ciò che non si ha.
La prima del comunale è, di certo, un’occasione più che speciale.
È un evento mondano ancorché musicale, che si esplica nella solita rituale e interessante messinscena nella messinscena. Un rassicurante spettacolo che, nella sua monolitica macchinazione, comunica quel senso di appartenenza del teatro alla sua città.
Così, tra istituzioni e notabili cittadini, tra paillettes e lustrini applicati su abiti eleganti e altri meno, si era abituati a ritrovarsi nel chiacchiericcio fitto del Foyer Respighi.
Ma non si pensi che l’appuntamento annuale, privato dei suoi spazi, dimezzi il valore dell’evento. Nessuno può negare che l’ambientazione storica del massimo bolognese sia un plus che sublima l’opulenza e indulge ad ogni piumaggio eccessivo, finanche all’ultimo eccesso glitterato. Fatto sta che ci si trova in zona fiera e non in piazza Verdi e toccherà farsene una ragione, almeno per i prossimi quattro anni. Proprio la nuova ubicazione da il La a questa nuova normalità. Comprensibile che non tutti siano ancora entrati in sintonia con i nuovi spazi, meno le polemiche sterili dei soliti brontoloni che ricordiamo lamentarsi per vezzo anche in sala Bibiena.
In fondo, il tempo che precede lo spettacolo è da sempre destinato al talk show spontaneo e questo borbottio porta con sé il conforto del cliché. Per quanto si sia fortunati ad avere una stagione così ricca, a chi sottolinea quanto fosse più adeguato il Comunale, sarebbe d’uopo rispondere citando l’adagio delle tre celebri grazie
Volendoci unire per simpatia alla schiera dei cercatori di pelo nell’uovo, qualcosa potremmo notarla anche noi, ma con sguardo bonario. Considerati, infatti, i tempi stretti (forse troppo) con cui è stato approntato il cambio di sede, questa prima di gennaio non era affatto scontata. C’è solo da essere contenti che anche quest’anno il Comunale risponda presente a voce piena.
Può mancare il teatro, ma sarebbe mancata molto di più la musica. Il bicchiere c’è ed è anche pieno, per lo meno a tre quarti. Non dimentichiamo, poi, che L’Europauditorium, è un appoggio provvisorio, in attesa che si completino i lavori per l’allestimento di una sala ingegnerizzata ad hoc per l’opera. Magari non eguaglierà il fascino e l’acustica meravigliosa del comunale, ma permetterà a tutti di fruire di una proposta musicale in modo adeguato. Come più che adeguata è stata questa prima.
Lo scorso 29 Gennaio la stagione del TCBO è stata inaugurata da Der Fliegende Holländer di Richard Wagner; sul podio Oksana Lyniv che ha ne L’Olandese un suo cavallo di battaglia, avendolo diretto perfino a Bayeruth, un vero e proprio fortino wagneriano.
C’era molta aspettativa, la recente Traviata se da un lato aveva tranquillizzato i più in merito alla continuità della proposta, dall’altro aveva instillato dei dubbi sull’adeguatezza della sala.
La direzione della bacchetta ucraina è vigorosa e non indulge a nessuna esasperazione dinamica. Anzi, dall’overture iniziale la musica prosegue con una viva forza trascinatrice.
La già ottima orchestra, sotto la direzione dalla Lyniv, appare più consapevole negli attacchi e nell’intonazione, segno della cura maniacale per il dettaglio. Non sarà la più introspettiva delle letture ma questo Olandese bolognese si farà ricordare per impeto.
Ma veniamo alle scene. Il team creativo di Curran, troppo severamente fischiato, ha il merito di risolvere di mestiere un rebus complicato. Il palco dell’auditorium, che si sviluppa molto in ampiezza e poco in profondità, non aiuta i cambi di scena e non è dei più facili da gestire. Non sarà una regia perfetta ma è più che dignitosa. Il proscenio è riempito da due pareti ai lati per provare a ridurne l’ampiezza e convogliare lo sguardo verso una centralità altrimenti persa.
Una quinta centrale in tessuto, invece, permette agli attori di uscire dallo spazio, risolvendo almeno in parte i limiti del luogo.
La caratterizzazione degli è affidata alle proiezioni frontali dei lavori di Driscoll Otto: nel primo atto il mare aperto in movimento, nel secondo una sartoria e nel terzo un porto. A volte si scade nel banale, come nell’abuso della proiezione dell’immagine del viandante sul mare di nebbia per identificare la figura Holländer.
Forse, anche i costumi di Robert Innes Hopkins sono fin troppo semplici e non rendono merito a voci e musica, ma si è visto di molto peggio ed in quegli spazi in tanti avrebbero fatto figure barbine. Inutile sofisticare il giudizio, sono peccatucci veniali che non meritano manifestazioni di protesta.
Convince, ed anche molto, il cast vocale.
Thomas Johannes Mayer è un interprete wagneriano scafato che restituisce un olandese molto credibile. Sebbene sia penalizzato dall’acustica di sala che non sempre magnifica la voce, la sua prova è solida.
La Senta di Elisabet Strid, così scintillante nel timbro ed agile nell’acuto, caratterizza alla perfezione il suo personaggio. Adam Smith,invece, porta a casa la difficile parte di Erik con qualche ammaccatura e non senza difficoltà, poi ci si chiede come mai la fanciulla abbia scelto l’altro. Ottima l’interpretazione di Peter Rose nel ruolo di Daland, sia per vocalità che per consapevolezza scenica. Tra i ruoli che impropriamente possono essere definiti minori, svetta la voce tenorile di Paolo Antognetti che liscia il pelo ispido alla complicata parte del timoniere. Ottimo il Coro del Teatro Comunale diretto da Gea Garatti Ansini, coadiuvato dal Coro del Comunale di Piacenza per l’equipaggio del vascello fantasma.
Chi ha approcciato a questa prima con scetticismo aspettandosi uno spettacolo a metà è tornato a casa con l’oro nelle orecchie ed una prova che – tutto sommato – vale il doppio.
Ciro Scannapieco
Foto Andrea Ranzi©