Quella che è andata in scena lo scorso Sabato 17 dicembre presso il Teatro del Baraccano a Bologna è una prima assoluta.
Già, perché Il Brigante di Robert Walser non è un testo che di primo acchito presti il fianco ad una rappresentazione teatrale. Il lavoro, proposto a conclusione del Convegno “Re-construction and Responsibility: an Itinerary through Diversities and Inclusion” (organizzato da LILEC dell’Università di Bologna – Dipartimento di lingue, letterature e culture moderne), è frutto di un laboratorio creativo tanto ardito quanto originale.
La struttura non si sviluppa lungo un continuo narrativo, in cui le vicende si intrecciano e si incastrano a formare una trama. Sono più degli incidenti, raccontati senza temere di lasciare sparsi nella vicenda dei buchi dove ospitare le interpretazioni del lettore.
Così come l’inizio, che introduce il centro dell’intrigo per poi fuggirlo: “Edith lo ama. Ma ci ritorneremo su”. Nemmeno il mistero sull’uccisione del Brigante viene in realtà svelato, lasciando sullo sfondo sia l’ipotesi che la mano armata fosse quella dell’amata sia il dubbio che sia accaduto dell’altro. Ma non è la realtà degli eventi ad essere centrale quanto la ricostruzione della psicologia del protagonista.
Non è un testo immediato e non sarà stato semplice nemmeno interpretarlo dal manoscritto originale. Eppure, i 526 foglietti, scritti a matita con una grafia non più alta di due millimetri, sono stati salvati dall’oblio grazie al lavoro di Carl Seelig che ne decifrò quello che era quasi un codice cifrato.
Datato 1925, «Il brigante» vede la prima pubblicazione solo cinquant’anni più tardi, mentre per una traduzione in lingua italiana si è addirittura dovuto scavallare il millennio. In un certo senso, quest’opera resta un mistero narrativo, sopravvissuto al tempo solo per caso.
Con queste premesse non si poteva non essere curiosi su come Claudio Ascoli avesse curato e risolto la scrittura scena di un testo lontano dai canoni classici dalla drammaturgia.
La vicenda si snoda attraverso l’avvincente racconto della storia di anonimo personaggio, per l’appunto “il brigante”. Questo antieroe – alter-ego dello stesso Walser – è un reietto, un uomo che da un lato esercita una forte fascinazione ma dall’altro resta emarginato per l’incapacità di assoggettarsi alle regole sociali.
Tra l’autore e il suo personaggio esiste, dunque, un rapporto di simbiotica affiliazione. Tra le pagine, infatti, più volte lo scrittore prova a salvare il furfante fino ad abbandonarlo per l’impossibilità di correggere e addomesticare la sua indole randagia. “Abbasso il brigante”, scriverà Walser, chiedendone ad alta voce l’arresto.
È una vicenda intima, un dialogo tra un sé interiore ed una coscienza sociale esteriore. Non è però un monologo. La dialettica si sviluppa attraverso gli intrecci tra brigante e abitanti di questo micromondo: Edith la sua innamorata…con pistola con la quale (forse) sparerà al Brigante, la giovane Wanda cioè l’altra (o no?), una Signora violista e vedova, Selma l’affittacamere, il Brigante anzi meglio il corpo del Brigante nella camera in affitto e naturalmente Il Brigante che forse è anche Robert Walser.
Claudio Ascoli e la sua storica compagnia Chille de la balanza, risolve l’enigma drammaturgico assecondando la frammentazione del testo.
Sono proposti dei quadri che raccontano la vicenda senza preoccuparsi della cronologia degli eventi.
Ogni quadro tratteggia un personaggio ed ogni personaggio è fondamentale per l’esplorazione dell’interiorità del protagonista.
Come se, attraverso gli altri, si facesse la conoscenza con il brigante e quindi con il Walser più autentico.
Ottima sia la costruzione dei ruoli che l’interpretazione degli attori, che riescono a scollare i personaggi dalle pagine del libro nel poco tempo che la rappresentazione scenica concede. Rosario Terrone è un brigante sfuggente e l’arcigna Edith di Salomè Baldion e l’austera Selma di Linda Vinattieri sono ottimamente interpretate. Ultima ma non per ultima la Wanda, Sara Chieppa, che spicca per freschezza ed interpretazione. Il dramma è sublimato dalle musiche originali di Dario Ascoli, interpretate da Martina Weber, e dagli episodi coreutici di Salvatore Nocera e Linda Vinattieri.
Non è un lavoro semplice e non ha la pretesa di esserlo. Necessità di attenzione per non perdersi tra le cuspidi della vicenda, che presenta quadri irrisolti per il continuo ricorso ad una certa frammentazione. Gli sforzi, però, vengono ampiamente appagati dalla scoperta di una scrittura intrigante e originale.
Se qualcosa alla fine è sfuggito, non importa. Come avrebbe detto l’autore “Qualcosa non è chiaro? ulteriori ragguagli in seguito”.
Ciro Scannapieco