“Aci e Galatea”, l’ultima opera in tre atti, più prologo, composta da Jean- Baptiste Lully, è l’opera che chiude il cartellone dell’84esimo Festival del Maggio Musicale Fiorentino.
Firenze omaggia il suo illustre concittadino; Giovanni Battista Lulli era figlio di un mugnaio fiorentino, che appena adolescente nel 1646 sbarcò a Parigi e mostrando rapidamente il suo talento, fu ingaggiato dalla casa reale.
La sua carriera fu subito in ascesa e ottenne le cariche più prestigiose, come il titolo di “Surintendant de la musique du roi”, scavalcando tutti i potenziali concorrenti. Nell’anno in cui ascese al potere Luigi XIV divenne cittadino francese, cambiando il suo cognome in Lully, e grazie al suo gusto artistico e musicale, e al suo carattere autoritario, decise che l’opera francese dovesse essere “seria” ispirata alla tragedia e alla mitologia classica, all’altezza del monarca, e con l’immenso successo della sua musica, divenne il compositore di riferimento francese.
Quest’opera fu ripresa per ben otto volte all’Accademie Royale tra il 1702 e il 1762, e Lully ricevette immediato e notevole successo e molteplici complimenti anche per la semplicità del tema, ma mai messa in scena a Firenze, rappresenta quest’anno, la vera “chicca” del Festival.
Fu commissionata a Lully dal duca di Vendome, come omaggio al Delfino di Francia in occasione di una visita nel castello di Anet, è una pastorale-heroique, cioè un genere intermedio, minore, che si articola in soli 3 atti (ne la tragédie lyrique sono almeno 5 atti) e unisce in scena sia personaggi divini che mortali, sia nobili che pastori.
Nata dalla collaborazione con il librettista Jean Galbert de Campistron è ispirata alla leggenda di Aci e Galatea delle Metamorfosi di Ovidio.
L’orchestra del Maggio Musicale Fiorentino, che per l’occasione suona con strumenti antichi, e il raddoppio dei cembali, è affidata al maestro Federico Maria Sardelli, che dirige, così come era solito fare il Lully, con una mazza, usata per dare il tempo agli esecutori, (ricordiamo l’episodio della ferita al piede, che incancrenitasi portò il compositore alla morte), l’evoluzione di questa mazza sarà l’usuale bacchetta. Sardelli con scrupolosa attenzione fa risaltare la declamazione seguendo l’inflessione dei versi, pur non trascurando la sontuosità della musica, tipica delle grandi tragédie lyrique.
Nel nuovo allestimento del Maggio, accattivante e fantasiosa la regia di Benjamin Lazar, aiutata dalle suggestive scene di Adeline Caron, dai costumi di Alain Naillet e dalle luci di Christophe Naillet, che immergono gli spettatori in un bosco incantato, dove pastori e ninfe e Dei dialogano amorevolmente.
Aci il pastore interpretato da Jean François Lombard, ama ricambiato la ninfa Galatea, una splendida Elena Harsányi, la giovane è oggetto di desiderio del ciclope Polifemo superbamente impersonificato da Luigi De Donato, e anche se l’ira del ciclope uccide il giovane pastore, l’intervento del Dio Nettuno riporterà l’uomo in vita, trasformandolo in un fiume.
Completano il cast, il giovane pastore Telemo di Sebastien Monti, Nettuno di Guido Loconsolo, Mark van Arsdale, Diana di Valeria La Grotta, l’Abbondanza di Francesca Lombardi Mazzulli, ottima la prova di due giovani esordienti, allievi dell’Accademia del Maggio Silvia Spessot, Davide Piva.
Ruolo centrale, quello dei danzatori, come d’altronde era uso nella musica francese, eleganti le coregrafie curate dalla danzatrice Gudrun Skamletz, in scena con Caroline Ducret, Robert Le Nuz, Alberto Arcos che in modo fresco e aulico, ci trasportano nel mondo pastorale.
Ottima la prova del Coro, per occasione posizionato nella buca, diretto dal Maestro Lorenzo Fratini, che come un personaggio vero e proprio, esprime con forza espressiva, tutta la drammaticità delle situazioni.
Lunghi applausi per l’idilliaco, paradisiaco e ipnotizzante spettacolo al quale nessuno dovrebbe sfuggire, e si apprezza l’apertura del Maggio Musicale Fiorentino, al mondo dell’opera antica, che tante gemme preziose nasconde.
Gabriella Spagnuolo