Otello e Desdemona sopravvivono ad una direzione piena di insidie. Al TCBO

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Ci ritroviamo proprio dove ci eravamo lasciati un paio di settimane fa, ovvero a fare i complimenti ai cantanti. Mattatore della serata, manco ci fossero dubbi, quel Gregory Kunde che tanti applausi ha riscosso di recente in Luisa Miller.  Accanto a lui una scintillante Mariangela Sicilia che conferma, manco ce ne fosse bisogno, classe e talento.
Eppure, qualcuno dal pubblico al termine del primo atto ha contestato.
Il moto di protesta (limitato ad un unico e rumoroso individuo) si è sollevato dai palchi di sinistra – forse del secondo ordine – con una voce familiare che rimanda ad altri borbottii già ascoltati al massimo bolognese. Che sia un vezzo, un colpo di calura che ottenebra la mente, oppure una firma poco autorevole (sempre) dello stesso autore, poco intacca il giudizio su quanto abbiamo visto.
Sospetti di protagonismo seriale a parte, ben vengano queste note di colore che tanto ci piacciono, anche e soprattutto quando sono del tutto immotivate e ravvivano la serata di quel magic touch così Radical Kitsch che solo una città al tempo stesso dotta e provinciale sa regalare. Contraddizioni, e non sarà l’unica della serata.
È vero, l’allestimento di Gabriele Lavia era pensato per il Paladozza e questo riadattamento agli spazi del massimo cittadino ha necessitato di massicce modifiche che rischiavano di snaturare l’idea primordiale. Modifiche che – almeno a chi scrive – non sono dispiaciute e sono risultate funzionali. La scenografia è essenziale, e si basa su un enorme telo in seta che fluttua sulla scena cambiando geometria e colore a seconda delle luci. Una nube mutevole, come un fato malevolo ma al tempo stesso ammaliante, che incombeva sulla testa dei protagonisti. Il contorno del palco è delimitato da fari, il resto è buio, un nero che episodicamente viene colorato dal coro disposto nel secondo piano scenico.
È un buio che man mano si illumina della potente forza vocale del coro magistralmente diretto da Gea Garatti Ansini. Sarà stato anche un ripiago ma quella moltitudine umana sullo sfondo è sembrato un quadro. Non ne parleremo per anni,  ma la regia è ben congegnata e strizza l’occhio al teatro contemporaneo rispettando le regole del melodramma.
Gli attori sono magistralmente condotti sul palco e tutti i movimenti sembrano incastrati in un marchingegno drammatico precisissimo.
Ne sentivamo il bisogno dopo una Luisa Miller registicamente così libera da risultare incerta.
La direzione orchestrale -invece- perplime. Diciamocela tutta, Asher Fisch ha reso la vita complicata a tutti gli attori, spingendo con dinamiche estreme e tempi indicati con troppa personalità. Quel che esce dalla buca è un tessuto orchestrale illuminato al neon, senza quelle sfumature che permettono ai solisti di interagire al meglio. Fortunatamente i cantanti ci hanno messo più di una pezza.
La parte di Otello è già così lunga e complessa che, di saltare sugli ostacoli posti sul cammino dal direttore, non se ne sentiva il bisogno. Nonostante le 68 candeline, Il Kunde non solo schiva le insidie ma le doma, e le domina con una prova clamorosamente massiccia. Sarebbero tanti i momenti da citare, tra questi scelgo quel “Niun mi tema”, interpretato con anima e classe, che da solo varrebbe il prezzo del biglietto.
Ma non è l’unico elemento di valore. Desdemona è a dir poco maestosa. Mariangela Sicilia è ormai un soprano in forte ascesa. Non registriamo imperfezioni in una voce che ha nella parte alta del registro un diamante, completato da dolci discese in basso. Difficile trovare anche solo un difetto.
Forse la sonorità orchestrale non ha aiutato a creare un giusto equilibrio di coppia, ma i due se ne sono usciti di talento, classe e mestiere. Altri sarebbero scoppiati ben prima dell’epilogo tragico della vicenda.
Buone le prove di tutto il cast, tra cui è opportuno menzionare il Cassio di Marco Miglietta ed il solito Franco Vassallo, autore di una prova solida e dedita ai protagonisti.
Come di recente consuetudine a Bologna, anche in questo Otello verdiano, spiccano le voci, ben accompagnate da un riadattamento registico molto accattivante.
Per il resto – che dire – abbiamo rivissuto in musica il senso di questa storia senza età. L’Otello bolognese ha avuto nella direzione orchestrale un pericoloso antagonista musicale. Proprio come nella vicenda inscenata, il nemico era prossimo, ma al TCBO – almeno in musica abbiamo visto un altro finale: i protagonisti ce l’hanno fatta, ed alla grande.

Ciro Scannapieco

Foto Ranzi-Casaluci

 

 

 

 

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