Quando la musica è buona non serve altro. In questo caso la musica era davvero buona e da qui partiremo per raccontare la Luisa Miller del Teatro Comunale di Bologna tenutasi lo scorso 9 Giugno.
A guardare il cast, le premesse c’erano tutte e – non se ne faccia mistero- era già giunta voce alle nostre orecchie del successo delle serate precedenti.
A cominciare dalla direzione. È vero, dal Daniel Oren degli ultimi tempi non si sa mai cosa aspettarsi, quasi che ogni volta se ne incontri uno diverso. Ma il direttore è così di nobile lignaggio, con un carattere straripante ed una personalità talvolta eccedente la musica e i musicisti stessi, che le aspettative non possono che essere altissime. La sua Tosca di inizio stagione, troppo ruffiana e dalla direzione ingombrante, ci aveva lasciato un po’ spiazzati e temevamo un’interpretazione altrettanto autocelebrativa anche per un titolo poco presente in cartellone come questo. Invece in un inizio giugno bolognese la bacchetta israeliana scintilla sul podio del comunale con una lettura profonda dell’opera che ben ne testimonia il dramma, la forza e la passione.
Ogni nota permea le orecchie ed arriva al cuore dove si ascolta con tutt’altro sentire. Merito anche della ottima prova dell’orchestra e dal solito lavoro di sostanza del Coro diretto da Gea Garatti Ansini.
Ed il cast vocale? Cediamo il passo per galanteria dalle signore del canto, tanto belle che se fossimo stati in Rodolfo avremmo avuto non poche difficoltà di scelta.
Di Martina Belli ci si innamora a prima vista, che se fosse stata lei la prima Federica della storia, forse avremmo visto un altro finale. Ma non facciamone solo un fatto estetico, il suo canto completa e sublima la grazia delle forme. Più difficile la vita di Luisa che deve domare una parte lunga e impegnativa.
Fortunatamente l’altrettanto bella Myrto Papatanasiu non delude e ci fa innamorare per l’eleganza del canto. Ottima benzina per il motore narrativo sono il Conte di Walter interpretato da Franco Rosalen, Il Miller di Franco Vassallo e il Wurm dell’ottimo Gabriele Sagona.
Risplende -ed è il caso di dirlo – Gregory Kunde, autore di una prova strepitosa. Una voce sempre piena e limpida segna un solco in classe tra lui e tutti gli altri. La carta d’identità direbbe sessantotto, ma quello che ascoltiamo è un professionista inossidabile.
Quanto detto, varrebbe ampiamente, un giudizio estremamente lusinghiero su questa nuova produzione bolognese che segna il debutto all’opera di marionanni e – forse per questo – forse per estrema fedeltà ad una visione troppo egotica della regia- ne paga lo scotto. Ma non può essere una critica per un grande artista che da oltre cinquanta anni regala luce con un linguaggio poetico.
Ma l’opera è un marchingegno strano che forse non rispetta in pieno le leggi di gravitazione universale per cui tutto ruota con precisione attorno alla luce come i pianeti al sole. In questo caso si avverte una vacatio direttiva in cui gli attori occupano in modo troppo libero la scena. È probabilmente una scelta minimalista atta a privilegiare i contrasti luminosi e la forza del canto piuttosto che riempire gli spazi di elementi. Luce e musica come punti cardinali.
La filosofia registica è massiccia, sebbene acerba nell’applicazione al melodramma. Il buon canto ha salvato un’ottima idea che – forse – con un cast più scialbo – non avrebbe avuto la forza di sostenere la rappresentazione.
Nonostante il concetto molto affascinante, si ha l’idea che più che sublimare il dramma si stia sottraendo forza all’opera. Da un lato si resta irretiti da questo approccio luminoso: rompere gli schemi sintattici dell’opera crea senza dubbio nuove opportunità espressive che avrebbero solo bisogno di una messa appunto per meglio adattarsi al genere.
Ma sono quisquiglie radical-chic. La Luisa Miller del TCBO è l’ennesima buona rappresentazione che porta il massimo bolognese ai vertici nazionali per profondità di cartellone e qualità dell’offerta. Di questi tempi non è scontato.
Ciro Scannapieco
Foto Andrea Ranzi