Avevo già ascoltato Albanese circa dieci anni fa e ne fui innamorato. All’epoca suonò un insueto e più che ostico concerto in Do Maggiore di Nino Rota con grande maestria. Era il 29 Ottobre 2011.
Riascoltarlo a Bologna, una decade dopo è stato motivo di grande entusiasmo – per i più pignoli, essendo lo spettacolo andato in scena il 28 Ottobre 2021, sarebbero mancate 24 ore alla coincidenza cronometrica.
Entrato nella splendida sala dell’Auditorium Manzoni so di dover attendere il quarto d’ora abbondante dell’esecuzione de Les Préludes di Liszt prima di ascoltare una nota al pianoforte. Poco male, in fondo è un Poema Sinfonico che mi ha sempre suggestionato, poi vedere sul podio un direttore classe ’95 suscita sempre una spietata curiosità. La domanda, di un preconcettualismo imbarazzante, è sempre la stessa «saprà un giovane di soli 26 anni cogliere il senso profondo della …e bla bla bla».
Ammetto di essermi posto lo stesso quesito – che Wittgenstein mi perdoni l’imbottigliamento.
Peccato che il dubbio sveli la sua pochezza quando apprendo che Liszt aveva meno di trent’anni quando scrisse l’opera. Se non può capirla il direttore per via della giovane età, probabilmente non l’avrà capita nemmeno colui che l’ha composta, essendo i due -sebbene in tempi diversi – pressochè coetanei. Ad esser sincero, seguendo questo tortuoso ragionamento, non ho capito a che età si inizia a capire…fortunatamente è arrivata la musica a sciogliermi da intricati quanto inutili inviluppi mentali.
Alla fine, non sono nemmeno più certo di aver capito quel che avrei dovuto capire ma nell’elogio del senso comune so che la direzione mi è piaciuta. Martijn Dendeviel ha una bacchetta educata, una gestualità composta e rigorosa ed ascendente sull’orchestra. Belli i momenti più concitati, forse un po’ troppo rarefatto l’adagio.
Arriviamo al pianoforte. Il Concerto per pianoforte e orchestra N1 in Mi bemolle Maggiore, S.124 è un vero banco di prova per ogni pianista. È un concerto di una difficoltà straordinaria, sia dal punto di vista pianistico che emotivo. Il pianista esordisce a freddo con dei segmenti e delle cadenze di notevole difficoltà tecnica.
La tecnica ad Albanese non manca. Ammetto di amare i pianisti vigorosi, quelli che non hanno paura di eccedere verso l’alto con la dinamica. Questo timore non appartiene ad Albanese che suona sempre (forse anche troppo) con grande energia senza, però, mai perdere di elasticità nel fraseggio. Forse pecca nelle dinamiche tenui ma è anche la partitura che lo chiede. Questo concerto è una lotta in cui pianoforte e orchestra lottano per il primato. Qui non c’è che dire, il pianista mena forte.
Giuseppe Albanese entra sul campo di sfida con grande agonismo, rapportandosi con l’orchestra con una spiccata conflittualità musicale. Tutto sommato è lo stesso pianista di dieci anni fa. Forse mi aspettavo qualcosa di diverso ma questo è l’ennesimo indizio che l’età non conta. Due indizi fanno una prova. Seguono i bis dove la tecnica pianistica la fa da padrona ma la musica è penalizzata dalle armonie troppo basiche.
La seconda parte del concerto è dedicata alla raramente proposta Sinfonia N.1 in Mi minore op 39 di Jean Sibelius. E’ una partitura molto pindarica in cui le scene musicali si sovrappongono in un clima marziale e fragoroso. Queste immagini sonore potenti sono il terreno preferito della giovane (perdonate l’aggettivo) bacchetta che dirige un’orchestra- quella del Teatro Comunale di Bologna- disciplinata sebbene con qualche (ormai endemica) sbavatura negli ottoni.
Quello di Fine Ottobre è stato l’ennesimo buon concerto di una programmazione sapiente.
Che dire, Giuseppe Albanese è lo stesso ottimo pianista e Martijn Dendeviel è un direttore fatto, al diavolo gli enumeratori di calendari.
Ciro Scannapieco