La Bohème impressionista per il San Carlo al 100 %

0

C’era una volta l’opera e ancora c’è con tutta la sua magia di scene, costumi e pubblico a colmare il teatro. Potrebbe essere questo il commento a “La Bohème” di Puccini, che nella visione di Emma Dante che ne firma la regia è «una favola d’amore».
Il capolavoro della sventurata fioraia ha rappresentato la prima delle due inaugurazioni della stagione operistica del Teatro San Carlo, essendo stata in origine destinata ad aprire la scorsa stagione e che oggi segna la vera riapertura con il pubblico al 100 % della capienza.
Sul podio è salito, per il suo quinto titolo pucciniano, il direttore musicale del Massimo napoletano, il maestro Juraj Valčuha che, assecondato da un’orchestra in stato di grazia,  ha espresso una lettura musicale con evidenziazione dei tratti impressionistici e delle parentesi cameristiche, favorita da un cast vocale di qualità, con Selene Zanetti nel ruolo di Mimì, accanto al tenore Stephen Costello, che ha dato voce schiettamente lirica, ma di ridotto volume,  a Rodolfo cantando con il braccio destro ingessato a causa di una recente caduta.
Selene Zanetti ha proposto una Mimì dalla vocalità estesa e sonora, di risonanza alta e sostanzialmente chiara; la recitazione ha indotto l’intelligente interprete a rinunciare talvolta a posizioni di supremazia di ruolo, a vantaggio della drammaturgia, di quello che ha definito «Dialogo silenzioso e di sguardi di intesa».
Il quartetto di amanti bohèmien ha avuto un’ottima Benedetta Torre nelle vesti di una Musetta giovanile ma di carattere, che, per dirla con l’interprete, «Sa cos’è la vita e di conseguenza anche cos’è la morte, con tutte le belle cose del mondo che, forzatamente, ti obbliga ad abbandonare».
Coerente nel suo amore incrollabile per Musetta, il Marcello di Andrzej Filonczyk, alter ego di Toulouse-Lautrec, si è distinto per rotondità vocale, mentre Alessandro Spina ha disegnato un Colline filosofo sì, ma studente, troppo baritonale.
Le scene di Carmine Maringola non mancheranno di stupire e forse scandalizzare i più tradizionalisti (ma è all’impressionismo che Puccini guardava), così come i costumi di Vanessa Sanino, ma tutto si colloca nel grande disegno di fiaba impressionista di Emma Dante, tradotta anche nelle coreografie di Sandro Maria Campagna.
La favola che regista vuole raccontarci, si svolge sui tetti di Parigi, tra impressionismo e street art, citando il volo di innamorati di Chagall in “Promenade”; sempre in uno spazio aperto dove agiscono prostitute, trans, suore, giovani innamorati, vecchi ubriachi e tutta un’umanità variegata anche scarpettiana, che, consapevole o meno, ogni giorno si trova tra smania di vivere e incombenza della morte.
Contraltare alla sinagoga del dipinto di Chagall, la “Cicatrice di Betlemme” di Bansky, con la Sacra Famiglia posta davanti ad un muro di Cisgiordania ferito da un colpo di mortaio.
Sul palco con gli attori e gli acrobati, protagonisti di un lungo numero al primo cambio scena, anche i solisti Pietro Di Bianco (Schaunard), Matteo Peirone (Benoit/Alcindoro), Daniele Lettieri (Parpignol) e ancora Mario Thomas, Sergio Valentino e Giacomo Mercaldo.
Il Maestro del Coro Josè Luis Basso prosegue nel gran lavoro di motivatore dei suoi artisti e i risultati sono evidenti in un “Quartiere Latino” gioioso e variegato come nei fuori scena,  nelle artiste impegnate alla “Barriera”, mentre una nota speciale va ai tre artisti, Mario Thomas, Serigo Valentino e Giacomo Mercaldo, in ruoli di comprimariato.
Infine è  un piacere evidenziare come  le Voci Bianche, dirette da Stefania Rinaldi, rispondano sempre all’appello.
Applausi per tutti, in una serata che si ricorderà per la riconquista dello spettacolo più bello del mondo.

Dario Ascoli

Riproduzione Riservata ®

Stampa
Share.

About Author

Comments are closed.