Lo studio legale Ligth è la scena di un misterioso caso di scomparsa. La legge dovrà indagare ed il Giudice incaricato è subito sul posto. Un intreccio che si snoda tra pochi indizi, con i profili psicologici dei personaggi appena tratteggiati.
Nello studio legale, la cui atmosfera da ‘camera chiusa’ evoca la migliore giallistica, sono a disposizione dell’inquirente l’avvocato titolare dello studio, il suo socio Barette e la giovane fidanzata dello scomparso Juan Voigth.
È il primo dei tre quadri di una breve pièce teatrale, dal gusto ironico ed un po’ surreale, intrigante al punto giusto, che gioca con la tradizione del giallo di investigazione, in un clima del tutto inusuale che non rinuncia al ‘coup de thèatre’ per sorprendere. In un climax narrativo crescente si rivela la solida tecnica, narrativa e teatrale, dell’autrice.
L’attenzione ai profili psicologici e ai dati caratteriali è di un ‘Giudice’ che aziona al meglio la sua vocazione introspettiva, un sosia geniale che la penna dell’autrice, sagace e intelligente, lascia esprimere in gioco di scrittura avvincente, ma chi è l’inquirente sarà un piacere scoprirlo attraverso la lettura o la messinscena. Il testo “La scomparsa di Juan Voight” 2020, Ed. ChiPiùNeArt di Emanuela Dal Pozzo è vincitore del premio ‘L’Arzigogolo’ V edizione/sezione drammaturghi in azione.
Un’agevole pièce dal ritmo sempre ben mantenuto, ricca di concertati dialoghi e che, tra frasi d’effetto ed arguzie filosofiche, ripaga della sua brevità con un’impalpabile consistenza.
Il signor Voight è un collezionista d’orologi, ostinato e anticonvenzionale, ha un rapporto speciale con il tempo, la Domestica lo descrive uomo distinto e raffinato.
La serata del suo compleanno scompare, un appuntamento evitato con una misteriosa donna, un andirivieni dallo studio legale dove collabora attivamente, l’avvocato Light che lo vede uscire dall’ufficio, per l’ultima volta, nel cuore della notte. Una serie di sospetti e di illecite complicità, di tradimenti e di litigi, nella prima parte della pièce molto materiale indiziario è già disseminato.
Nel secondo quadro sono evocati una serie di alter ego attraverso delle presenze sceniche, il Nostalgico, l’Idraulico e l’Amante di Voight. Intanto un abile Scassinatore viene chiamato dall’inquirente per forzare la serratura dell’ufficio di Voight perché si sospettano importanti verità.
A loro volta i sospettati sono messi dal Giudice a confronto ognuno con il proprio ‘sottosuolo’ emotivo ma, come si sa, le apparenze ingannano. Nell’ultimo quadro, dopo una concitazione generale al buio, la luce illumina l’ufficio di Voight aperto dallo Scassinatore, i tasselli scomposti del puzzle si riordinano, le tracce di cui sono disseminati i quadri precedenti, fossero anche banali indizi, divengono illuminanti ed il cerchio si chiude.
Le conflittualità, più o meno latenti, restituisco la verità. Un giallo pieno di ironia e affondi introspettivi, un’alternanza di contaminazione di generi, la mescolanza di un umorismo surreale al fascino discreto del thriller psicologico rendono la lettura incalzante e piena di sollecitazioni. Una resa ottima, dove protagonista non è solo il caso da risolvere, ma un gioco più grande, quello della vita che ama mischiare finzione e realtà, inganno e verità, interrogandoci sempre sul grande mistero del tempo. E’ il caso di scriverlo A.A.A. Cercasi impresario per messinscena promettente.
L’autrice Emanuela Dal Pozzo scrive e dirige spettacoli per bambini, ha pubblicato vari romanzi storici “Il Castello dei Chambleau” (2004), “Il tesoro del monastero” (2011), di recente i noir storici “Sonetti al veleno” (2019) e “La verità e l’inganno” (2020). E’ giornalista pubblicista, ha collaborato con la testata on-line di informazione spettacolo e cultura Oltrecultura.it e dal 2011 dirige il giornale di critica culturale e teatrale on line Traiettorie.org.
Marisa Paladino