La nave del Mandaloriano – Din Djarin per gli amici – torna a solcare i cieli stellati di Star Wars.
Se i primi otto episodi di The Mandalorian, serie televisiva creata da John Favreau, debuttavano in Italia a marzo 2020, in contemporanea con il lancio europeo della piattaforma Disney+ (ne abbiamo parlato qui), a nove mesi di distanza ecco arrivare anche la seconda stagione, le cui puntate usciranno settimanalmente entro la seconda metà di dicembre. Nove mesi, dicevamo, che in realtà salgono a dodici, tenendo conto dell’esordio statunitense avvenuto a novembre 2019. Le consuete tempistiche distributive risultano perciò rispettate.
E la sorte, a quanto pare, ha giocato a favore della produzione: le riprese si sono concluse all’inizio di marzo, poco prima che lo scoppio pandemico trovolgesse l’intero globo terracqueo, sabotando, tra i vari settori, anche quello cinematografico.
Le didascalie della saga canonica, d’altronde, ce lo segnalano da tempo: per somma fortuna del Mandaloriano, la sua galassia sembra essere davvero “lontana lontana” come preannunciato fin dal 1977. Una distanza senz’altro maggiore del metro e mezzo necessario a scansare il Covid. Ecco spiegato perché nessuna restrizione sanitaria vincoli i personaggi lucasiani, ai quali toccano ben altre gatte da pelare.
Scopo del Mandaloriano è infatti quello di proteggere il Bambino, creaturina verdognola dalle lunghe orecchie a punta e gli occhioni neri, dietro il cui aspetto indifeso si nasconde una portentosa sintonia con la Forza: un vero e proprio Yoda in miniatura, così ribattezzato impropriamente dai fan, scovato per caso sul pianeta Arvala-7 ed ora braccato da nostalgici imperiali. La speranza è che, in qualche mondo remoto, esistano esemplari della stessa razza del Bambino, o che qualcuno – un Jedi, ad esempio – sappia se non altro spiegarne l’origine misteriosa.
Vinta la tipica durezza dei Mandaloriani, Din Djarin perlustra i quattro angoli della galassia e, grazie alle sue abilità da cacciatore di taglie, accetta ingaggi sempre più temerari che gli possano fruttare preziose informazioni. L’istinto paterno va quindi affinandosi insieme al legame tra i due personaggi, i quali, tanto al termine della prima stagione, quanto all’inizio della seconda, si mostrano inseparabili e reciprocamente connessi come figlio e genitore.
Né vien meno l’espediente narrativo testato in precedenza: se un diverso ostacolo blocca puntualmente il viaggio dell’(anti)eroe, un nuovo elemento arricchisce di volta in volta il quadro generale.
Così, alla pari di San Giorgio, il nostro Mandaloriano finisce dapprima a stanare un colossale drago delle sabbie, e la furiosa battaglia tra i due – contraddistinta da un occasionale ampliarsi del formato di ripresa, da 2,39:1 a 16:9 – recupera il concept già messo in scena nella puntata 1×02, dove, in modo analogo ma su scala ridotta, il protagonista affrontava un altro mostro dormiente nella sua caverna.
A seguire, l’astronave mandaloriana piomba su un pianeta coperto di ghiaccio. Peccato che sotto la sua crosta nidifichino enormi ragni albini: ed è subito Alien, doveroso tributo cinematografico a cui si aggiunge un’eco degli insetti fantascientifici già visti in Starship Troopers (ma è probabile che l’allusione riguardi anche la tana di Shelob ne Il Signore degli Anelli). Il tema dell’uovo, della covata e della maternità, peraltro, sorregge l’intero episodio, con picchi grotteschi che, ad essere onesti, era scontato indignassero le madri di qualche spettatore più giovane – obolo da versare al marchio Disney, responsabile di aver abbassato il target di riferimento per il pubblico.
Infine è tempo di un ennesimo assalto al treno, quando Din Djarin, scoperti tre superstiti mandaloriani, si fa da loro coinvolgere nel sequestro di una nave imperiale. Ma è anche tempo di sconvolgenti rivelazioni: Mando apprende come il culto marziale sinora professato, non dottrinalmente unitario, bensì frammentato al suo interno, includa varie correnti di pensiero, alcune meno rigide ed altre più ortodosse. Una tale presa di coscienza scuote il personaggio, avviando una rivalutazione delle sue stesse radici e innescando un allargamento dell’orizzonte a cui lo spettatore faceva riferimento. Il classico “This is the Way” (“Questa è la via”), salmodiato dai guerrieri mandaloriani, tutt’a un tratto diviene più ambiguo. Quante sono davvero le Vie di Mandalore? Non a caso, mediante l’introduzione di figure già comparse nelle serie animate Clone Wars e Rebels, l’episodio costituisce un importante anello di congiunzione con l’universo espanso di Star Wars.
Il risultato complessivo, per ora, non delude mai. Su tre puntate, la carica fantasiosa delle scenografie, posta in risalto da ogni minimo dettaglio (si presti attenzione ai sobborghi malfamati dell’Orlo Esterno o alle ambientazioni marinaresche sulla luna di Trask), mantiene un livello spettacolare sempre indiscutibilmente alto. Vi contribuisce l’abile alternanza di CGI e di prostetica tradizionale, nonché la significativa scrittura delle musiche, ancora una volta curata da Ludwig Göransson.
A latitare un poco è semmai la sostanza narrativa: di fatto la trama si rivela piuttosto esile, ma la premesse per un degno sviluppo ci sono tutte. Gli stessi personaggi, vecchi e nuovi, lasciano facilmente il segno: Peli Motto (Amy Sedaris), meccanica residente su Tatooine, fin dal suo riapparire ruba la scena a Din Djarin (Pedro Pascal); né dubitiamo che la coraggiosa Frog Lady, madre tenera e protettiva di ovuli ancora infecondi, rimanga impressa a lungo nel cuore degli spettatori.
Ben fiduciosi, insomma, non ci resta che sospendere il giudizio (finora positivo) e attendere i prossimi episodi, senza mai smettere di confidare nella Forza.
Emanuele Arciprete