Domenica 4 ottobre, sul palcoscenico del Teatro San Carlo di Napoli, il secondo cast per “Die Zauberflöte” di W. A. Mozart.
Se il distanziamento fisico tra gli artisti non ha, in era covid, favorito il dialogo tra gli strumenti e tra gli interpreti, fra loro stessi e con il direttore, il taglio dei recitativi, che ha fatto storcere il naso al pubblico dei più eruditi, e l’esecuzione in forma di concerto, di questa produzione in particolare, hanno interrotto il dialogo centrale, che non dovrebbe mai spezzarsi, tra palcoscenico e platea. Non è bastata la bellezza, che é grande, dei numeri musicali, a salvare la situazione, solo l’espressività intrinseca dei recitativi avrebbe chiarito l’avvicendarsi degli interpreti, rigorosamente muniti di mascherina, sul palco e giocato a favore della decodificazione di una drammaturgia, se non complessa, almeno articolata.
Il Sarastro di Ramaz Chikviladze non ha brillato per volume nè per profondità, la gamma dei gravi fatta di suoni gutturali e slabrati, ci fa dubitare, che l’interprete sia del tutto adeguato al ruolo in scrittura.
Il bel timbro del tenore David Ferri Durà ha caratterizzato un Tamino elegante ed intimo, dal fraseggio morbido ed articolato e dalla sensibilissima interpretazione. Valentina Mastrangelo, che ha prestato a Pamina una voce importante, si è dimostrata assolutamente all’altezza, nonostane il tentativo di dare più robustezza ai gravi abbia svantaggiato talvolta brillantezza e proiezione, doti proprie della cantante campana. Ad Astrifiammante é riservata una delle arie più celebri di tutti i tempi, emblema del virtuosismo e del tecnicismo della vocalità lirica; una grande responsabilità per la giovane Daniela Cappiello che ha, qua e là, tradito una certa emozione, con improvvisi, arbitrari ancorchè necessari cambi di tempo e sovracuti “preoccupati”. Il Papageno di Vincenzo Nizzardo, ha avuto un esordio sonnolento recuperando poi, via via, nitidezza e focus, buona performance e tenuta della scena. Frizzante e spiritosa, con un occhio attento a non smarrire precisione e pulizia del suono, la sgargiante Papagena portata in scena da Michela Antenucci. Adeguato il Monostatos di Cristiano Olivieri e convincenti le Tre Dame che hanno unito tre ottime interpreti soliste: Emanuela Torresi, Laura Cherici e Adriana Di Paola. A completare il cast: il Primo Armigero e Secondo Sacerdote, Marco Miglietta; il Secondo Armigero, Gianfranco Montresor: il Primo Sacerdote, il giovane e promettente Mariano Orozco; l’oratore Enrico Marrucci; i tre meticolosi genietti: Fiorenza Barsanti, Antonella Petillo, Roberta Mancuso.
Non si può negare che lo sfasamento tra i componenti del coro incida sulla compattezza, sull’omogeneità e, in alcuni casi, sulla resa delle dinamiche, tuttavia, l’impegno profuso da tutti e l’ottimo lavoro di concertazione del maestro Gea Garatti Ansini, hanno restituito al meglio la partitura nei due interventi previsti, evocando le tanto rimpiante sonorità pre covid.
L’orchestra, che ha esordito con arcate troppo lunghe, in disaccordo con lo spirito brioso dell’ouverture, ha faticato un po’ a recepire il gesto del direttore Gabriele Ferro, chapeau ad lunga ed invidiabile carriera anche in terra austriaca e tedesca. Comunque, al riparo da ogni polemica, é stato emozionante ritornare all’Opera per il pubblico di appassionati ed, altrettanto emozionante, immaginiamo, rimettersi all’Opera per gli artisti.
Possiamo solo auspicare che l’emergenza sanitaria non ci privi del gusto di varcare l’uscio dei meravigliosi teatri lirici per assistere a gemme del repertorio, dando il colpo di grazia ad un settore, quello dell’arte e dello spettacolo, già messo in ginocchio.
Mariapaola Meo