Nel saggio intitolato L’orrore sovrannaturale nella letteratura, Howard Phillips Lovecraft esordisce con una frase poi divenuta iconica: “Il più antico e intenso sentimento umano è la paura, e il genere di paura più antico e potente è il terrore dell’ignoto.”
Henry James, autore del celebre romanzo Il giro di vite (1898), aveva già in precedenza formulato un principio affine a quello di Lovecraft: qualora l’essenza dell’evento spaventoso venga troppo chiarita, si rischia di depotenziarne gli effetti suggestivi. È l’immaginazione del lettore a dover completare il quadro terrificante, cogliendo gli indizi disseminati nel testo e sviluppandoli per conto proprio. Lo scrittore fantastico deve piuttosto suggerire alcune chiavi di lettura, senza invadenza o didascalismo, come un Leonardo Da Vinci che leghi l’enigma della Gioconda all’ambiguità del suo sorriso.
Avendo compreso il valore di questa lezione, Lovecraft partorisce una serie di racconti sul modello di Poe e di Hodgson, dove creature reiette e divinità ancestrali giacciono sempre avvolte da un alone impenetrabile.
Oltre al ciclo letterario incentrato su Cthulhu, il demone marino al quale è in gran parte legata la fama dell’autore statunitense, un’altra opera rientra indubbiamente tra le più riuscite: Il colore venuto dallo spazio (The Colour out of Space, 1927).
Al centro della storia vi sono i Gardner, una famigliola contadina che risiede nelle campagne del New England, regione carica di leggende e superstizioni, in cui Lovecraft colloca alcune città immaginarie come Arkham, Dunwich e Innsmouth.
La vecchia fattoria dei Gardner sorge in prossimità di Arkham, ed è qui che un meteorite precipita all’improvviso.
Scienziati e giornalisti indagano l’avvenimento con estrema perplessità: la roccia siderale, avvolta da una strana iridescenza, sembra esser fatta di un materiale sconosciuto che non si raffredda mai, e che inspiegabilmente va rimpicciolendosi poco alla volta. Al suo interno si scoprono dei globi di un colore ignoto, uno dei quali viene rotto per caso dagli increduli osservatori, ma nessuna indagine di tipo chimico o spettrografico fornisce risultati soddisfacenti, e al termine di una tempesta durante la quale numerosi fulmini hanno ripetutamente centrato il luogo dell’impatto, il meteorite scompare senza lasciar traccia.
La faccenda sembra così essersi conclusa. Ma è allora che inizia l’incubo per i Gardner. Nel giro di qualche mese, il terreno comincia a mutare colore, le piante fioriscono in modo bizzarro, gli alberi danno l’illusione di animare segretamente le proprie estremità, anomale creature compaiono dal nulla, l’acqua nel pozzo ristagna ed emette esalazioni in cui si vede riaffiorare lo stesso colore indefinibile.
Intorno alla casa dei Gardner, l’intera campagna subisce quest’aberrante metamorfosi, prima assumendo le ignote sfumature del meteorite, poi ingrigendo e deperendo in modo repellente: gli animali della fattoria vengono contagiati, e con loro anche la povera famiglia.
Non solo la natura degli eventi – riferita da un personaggio secondario, in base al classico schema del racconto fantastico – manca di un effettivo chiarimento, ma in più abbondano le omissioni e le ellissi nella narrazione, che man mano accrescono il senso di minaccia nei confronti del lettore e dei personaggi. Lo stesso colore venuto dallo spazio, a causa della sua sostanziale incomprensibilità, non viene mai descritto per davvero, tecnica analoga a quella impiegata in altri racconti lovecraftiani, laddove riemergono le geometrie della città sommersa di Cthulhu, o dove si menzionano le formule riportate nel blasfemo Necronomicon.
L’orrore resta sempre innominabile in tutto l’universo di Lovecraft.
Ciò lo rende un autore molto difficile da mettere in scena. Non a caso i risultati più meritevoli, sul piano cinematografico, si sono ottenuti solo quando si è scelto di ricreare la vaghezza delle sue atmosfere, incentrandosi sul delirio dei personaggi anziché sulla tangibilità delle loro visioni.
I titoli migliori, tra quelli ispirati più o meno esplicitamente allo scrittore di Providence, sono Possession (1981) di Andrzej Zulawski, La casa (The Evil Dead, 1981) di Sam Raimi, La Cosa (1982) e Il seme della follia (In the Mouth of Madness, 1994) di John Carpenter, Re-Animator (1985) di Stuart Gordon e il folgorante The Lighthouse (2019) di Robert Eggers; ma è indubitabile che l’influenza di Lovecraft si estenda a molte altre pellicole.
Se infatti il tema del meteorite segna la letteratura fin dai tempi di H.G. Wells (La guerra dei mondi, 1897), la metamorfosi dell’ambiente extraterrestre è invece pura materia lovecraftiana, alla quale attingono il regista Andrej Tarkovskij nel film Stalker (1979) e, più recentemente, Alex Garland in Annientamento (2017).
Questi ultimi due esempi appaiono tanto significativi quanto distinti.
Nel primo caso, la misteriosa Zona si staglia come un tranquillo paesaggio rurale, al cui interno le leggi della fisica e della geometria euclidea vanno incontro a un inspiegabile sovvertimento. Nel secondo caso, Garland preferisce inscenare trasformazioni concrete, mescolando gradualmente forme e colori, in un caleidoscopio di grande impatto visivo. Entrambi gli approcci sono legittimi, ed entrambi colgono alla perfezione quel senso ignoto di cui Lovecraft è maestro.
Purtroppo il bersaglio viene del tutto mancato dal film Color Out of Space (2019) di Richard Stanley. Sebbene la trama, ammodernata, rimanga quasi la stessa del racconto, la totale povertà d’inventiva svilisce qualunque merito filologico.
Materializzare un colore inesistente è sicuramente complesso, ma proprio questa difficoltà avrebbe richiesto un maggior lavoro di fantasia. Si sarebbe potuto semmai desaturare i fotogrammi, giocando col seppiato, col bianco e nero, o mettendo mano a stravaganti strategie cromatiche. C’era tanto con cui potersi sbizzarrire. Stanley sceglie invece di puntare su una tonalità violacea che forse gli sarà apparsa accattivante, per la consueta nostalgia degli anni Ottanta, ma che ormai viene percepita come logora e pacchiana.
Le varie citazioni – si riconoscono Carpenter, Raimi e Cronenberg – rafforzano la sensazione di visionare una fotocopia sbiadita. Effetto paradossale, trattandosi di un film incentrato sui colori. Non giovano i toni involontariamente comici impiegati all’inizio, i goffi dialoghi messi in bocca ai membri della famiglia Gardner, né tanto meno la recitazione eccessiva di Nicolas Cage.
Tra gli effetti collaterali causati dal meteorite, la distorsione spaziotemporale, assente dal testo originale, suona come un’ennesima strizzatina d’occhio a molte altre pellicole del genere fantascientifico, per di più sfruttata con grande sciattezza.
L’unica sequenza degna di nota avviene quando, al culmine del contagio famigliare, l’azione si sposta dentro la soffitta: solo allora, grazie al buon make-up e alle intuizioni fotografiche, che svelano minimi dettagli della trasformazione in atto, una discreta dose d’inquietudine raggiunge lo spettatore.
Non c’è dubbio che Richard Stanley conosca il materiale di partenza, e lo dimostra spargendo qualche simpatico rimando all’iconografia lovecraftiana, ma sfortunatamente per lui, ottiene un prodotto non all’altezza delle aspettative.
Pare comunque che il film sia andato piuttosto bene al botteghino, anche in virtù del budget ridotto, e il regista si è già dichiarato ansioso di girare un secondo adattamento di Lovecraft: toccherà, forse, all’Orrore di Dunwich. Speriamo solo che il titolo non si ripercuota sul valore della pellicola.
Emanuele Arciprete
COLOR OUT OF SPACE
Voto: 4½/10
Anno: 2019
Paese di produzione: Stati Uniti d’America
Soggetto: H.P. Lovecraft
Regia: Richard Stanley
Sceneggiatura: Richard Stanley, Scarlett Amaris
Fotografia: Steve Annis
Montaggio: Brett W. Bachman
Musiche: Colin Stetson
Interpreti: Nicolas Cage, Joely Richardson, Madeleine Arthur, Elliot Knight
Genere: Horror