Peccato, sì è un peccato e un’ occasione mancata per la compagnia teatrale La Terra Smossa di Gravina che domenica 16 febbraio 2020 ha portato in scena per il Festival XS di Salerno Il re muore, celebre opera del Teatro dell’Assurdo di Eugène Ionesco. Un testo del 1962 dal linguaggio disarticolato, metafisico, che costruito tra paradossi e reiterazioni esprime il senso universale dell’angoscia umana rispetto alla morte inevitabile.
Il Re-maschera Bérenger, malato e vecchio incarna il destino che attende tutti noi, dapprima grottescamente inconsapevole ed ostinato nel rifiutare la più certa delle verità, poi quando questo destino sarà alle porte, dovrà constatare il deperimento di tutte le cose, la brevità del nostro passaggio sulla terra: “Sono salito al trono due minuti e mezzo fa… Non ho avuto neppure il tempo di dire bah! Non ho avuto il tempo di conoscere la vita… Non ne ho avuto il tempo, non ne ho avuto il tempo…”.
Un testo che sembra essere un lungo omaggio all’impotenza e alla tragedia dell’uomo, unico in tutto il creato a possedere la cognizione della propria finitudine, unico a sapere che la morte è di tutti noi signora e padrona, e che nonostante le presenze intorno a noi la solitudine è nella morte come nella vita. Il “non pensarci” non è risolutivo, il dibattersi è puro spreco di tempo ed energie, ignorare la realtà non cambia il destino che governa il mondo, inutile cercare di essere ricordati, siamo destinati a svanire nel nulla.
Il re (Leo Coviello) è circondato da due mogli, la prima Marguerite (Maria Pia Antonacci) pragmatica e dura, la seconda Marie (Elisabetta Rubini) fatua e pietosa, un chirurgo, boia, batteriologo e astrologo, tipo cappellaio matto post moderno (Angelo Grieco) sempre alla ricerca di sintomi della imminente fine, e Juliette (Teresa Cicala) che qui oltre a servire veste anche i panni della guardia. Un lavoro teatrale sicuramente non semplice da allestire e a nostro avviso il regista Gianni Ricciardelli non ne sottolinea a pieno l’atmosfera sospesa, surreale e non centra il bersaglio optando per dei costumi improponibili, un paio francamente brutti, oltre alla trovata fuori copione (vedi il finale con il re bendato come una mummia egizia) che non rende giustizia al testo; inoltre il ritmo recitativo, nonostante le buone intenzioni degli attori, sembra non decollare, anzi cede completamente sulle ultime battute. Senza entrare nello specifico della dizione, dei vari registri vocali, della spigliatezza, della presenza scenica, della gestualità, diciamo che Leo Coviello regge bene l’impegno e la parte, Angelo Grieco gigioneggia col suo personaggio, il che non spiace, mentre le tre attrici dovrebbero approfondire di più lo scavo dei loro personaggi.
Calorosi gli applausi.
Dadadago