Sala Pasolini di Salerno, 9 gennaio 2020. Un tutto esaurito per l’istrionica performance di Mimmo Borrelli con i suoi 50 minuti di Malacrescita, una riscrittura del mito di Medea, rappresentata nel 2012 nel dirompente testo “La Madre. I figli so’ piezze ‘i sfaccimma” di cui è autore lo stesso Mimmo Borrelli. Uno straordinario drammaturgo, alla Sala Pasolini anche regista ed interprete, avendo ritagliato tutti i personaggi della pièce, perfettamente aggiungiamo, sul suo essere attore totale, interpreterà infatti sia i personaggi evocati che uno dei gemelli sopravvissuti. Pasquale Mammiluccio, questo il suo nome, è irrimediabilmente segnato da minorazioni psico-fisiche, ma avrà il ruolo di testimone di una storia, tragica e dolorosa. La madre, figlia di un camorrista del casertano che dalla coltivazione dei pomodori passa al più profittevole smaltimento clandestino dei rifiuti tossici, è una ragazzina precocemente donna, si innamora perdutamente di un uomo della camorra, violento e fedifrago, detto “Sandokanne”, compiendo in nome di quest’amore delitti e misfatti. I tradimenti subiti armeranno la donna di un desiderio di vendetta nei confronti di questo marito-padrone, impastato di ferocia nella sua vita sia pubblica che privata. I figli che porta in grembo saranno partoriti ma allattati con il vino, condannati quindi ad una sindrome alcolica irreversibile e degenerativa, diventando anch’essi scarti umani e “monnezza” in questa terra ostaggio di rifiuti avvelenati e di malaffare. Pasquale Mammiluccio/Mimmo Borrelli dei due è il figlio parlante e narratore, il fratello gemello Totore/Antonio della Ragione è un sottofondo di suoni, esegue dal vivo musiche con strumenti a fiato, campane e pupazzi, in una sorta di colonna musicale di vite innocenti martoriate per sempre. Malacrescita ha inizio dove la tragedia “La Madre” terminava, la scena è quasi un antro, un vascio senza redenzione, in cui si ripete l’ossessivo teatrino quotidiano di questi due malcresciuti testimoni, condannati a dibattersi nell’orrore della memoria, tra cantilene ed urla, evocando la fanciullezza difficile della madre il cui destino di donna, asservita e violata, si compirà tra le braccia di un uomo violento e pulsionale, un padre-padrone dal nome Francesco Schiavone, capo dei casalesi e meglio conosciuto come Sandokanne. Lo spettacolo avvolge e suggestiona, da subito. Confonde e fagocita grazie alla sonorità di una lingua multiforme e poliedrica, un dialetto flegreo popolare unito ad lingua più colta e curata, cifra inconfondibile e spessa del Mimmo Borrelli autore. Un testo sorprendente, fragoroso e dirompente, affilato e teso, difficilmente descrivibile ma soltanto da sentire, allucinato e assordante, barocco e poetico, tutto questo già un buon motivo per lasciarsi scuotere ed assalire da questo flusso verbale di versi, endecasillabi, rime e cantilene che non scivola, ma si aggrappa a quanto di noi si confronta con un’ancestrale materia antropologica, intrisa di viscerali pulsioni e di atavica ribellione all’ingiustizia umana, un disperatamente disumano proteso verso un riscatto, nonostante tutto. A tanto si aggiunge l’essere in scena di Mimmo Borrelli, una marcata espressività elaborativa dei personaggi in chiave esasperatamente fisica, in un crescendo di potenza distruttiva, data dalla condizione di vite svendute al delitto, alla sopraffazione, alla vendetta e alla maledizione senza fine. Ne viene fuori uno spettacolo di rara intensità che ci rende spettatori affacciati sull’abisso di una bassezza umana da cui, comunque, è possibile forse riaffacciarsi e che sboccino ancora dei fiori.
L’habitat scenico creato da Luigi Ferrigno, se coerente con la cupezza laida di questo utero-bassofondo che accoglie le testimonianze di questi due minorati, lascia anche spazio alla parola di riscatto, con dei fiori che escono dai colli di bottiglie di cui è disseminato il palcoscenico, quasi a voler gridare che “dal letame nascono i fiori” e le colpe possono essere perdonate, perché “Non c’è carnefice che non sia stata vittima”. Il pubblico, sicuramente catturato da questa esperienza teatrale fuori da ogni convenzionalità, applaude a lungo.
Marisa Paladino