Knives Out: espressione idiomatica che in italiano significa “ai ferri corti”, ma che, presa alla lettera, sta per “fuori i coltelli”.
Questo il titolo assegnato da Rian Johnson al suo ultimo film, dove il celebre romanziere Harlan Thrombey (Christopher Plummer), subito dopo aver festeggiato l’ottantacinquesimo compleanno, viene inspiegabilmente trovato morto nella propria villa. In apparenza sembra trattarsi di un suicidio, ma il detective privato Benoît Blanc (Daniel Craig) avanza l’ipotesi del delitto: ogni membro della famiglia potrebbe avere un movente.
Per stessa ammissione di Johnson, regista e autore della sceneggiatura (sopravvissuto al controverso Episodio VIII di Star Wars), il titolo s’ispira all’omonima canzone dei Radiohead, sebbene né il testo né la musica abbiano a che fare con la storia rappresentata. Piuttosto, la scelta deriva da un raffinato divertissement linguistico, utile a individuare i due elementi centrali del film: non solo l’omicidio, ma anche le tragicomiche peripezie che frammentano il nucleo familiare della vittima.
Purtroppo la traduzione nostrana, come al solito poco fedele o coraggiosa, non rende giustizia alla scelta originaria, sostituendola con una frase funzionale, di rapido inquadramento: Knives Out diventa Cena con delitto. Formula logora, ma soprattutto fuorviante, dal momento che l’evento luttuoso non avviene nel corso di un banchetto serale.
Inevitabile poi la somiglianza col titolo di un altro film, Invito a cena con delitto (Death By Murder, 1976), a sua volta tra le prime pellicole concepite per deridere il genere giallistico (laddove assurde forzature e contraddizioni tipiche delle detective stories erano smascherate nientemeno che dallo scrittore Truman Capote!).
Legame, malgrado tutto, davvero esistente. Oltre agli autorevoli capisaldi del genere – quali Assassinio sull’Orient Express (1974), Assassinio sul Nilo (1978) e Gosford Park (2001) – Rian Johnson ammette d’aver preso a modello una serie di pellicole più ironiche, come Trappola mortale (Deathtrap, 1976), Signori, il delitto è servito (Clue, 1985) e lo stesso Invito a cena con delitto.
Knives Out è però lontano dall’essere una parodia in piena regola.
L’umorismo non indebolisce il mistero, né porta a un abbassamento dei toni o dello stile; e per quanto il classico intreccio alla Agatha Christie fornisca vari spunti di partenza, la storia, in equilibro tra commedia e thriller, vanta una stabilità che non viene mai sacrificata in nome del colpo di scena. Parossismi e macchinazioni, a cui il genere ci ha abituato, aleggiano infatti senza mai concretizzarsi, e tolta qualche piacevole esuberanza, la trama si dipana in modo piuttosto lineare. Si potrebbe anzi dire che il vero plot twist coincida con la sua assenza, e con la scoperta che la soluzione appaia ben più naturale – seppur non banale – di quel che si crede. “Nulla è più sfuggente dell’ovvio”, commenterebbe a tal riguardo Sherlock Holmes.
Ecco perché Knives Out s’inserisce a pieno diritto nello stesso filone del quale sorride rispettosamente, delineandone semmai una nuova configurazione: malgrado i toni concilianti del canone giallo, dove il meccanico trionfo della logica appare coronato dal ripristino dell’armonia borghese, stavolta lo sciogliersi dell’enigma aggrava lo scompiglio familiare, e l’ordine infranto non viene affatto restaurato. Ne affiorano alcune connotazioni politiche, ammantate di un leggero moralismo, che tuttavia restano in superficie.
Essenziale il dosaggio dei tempi narrativi. Grazie alla brillante gestione dei flashback, il ritmo trova pieno sostegno nel montaggio, e il racconto fila senza incepparsi, nonostante la durata di circa due ore.
Alla riuscita dell’impresa contribuisce un cast in stato di grazia, vero fiore all’occhiello del film.
Christopher Plummer, dall’alto dei suoi novant’anni, interpreta un anziano patriarca (come già in Millennium e in Tutti i soldi del mondo), al quale tocca fare i conti con la propria sgradevole discendenza: giallista di successo, possiede una ricca collezione di armi, alcune vere, altre finte, di grande effetto scenografico. L’allusione, in questo caso, riguarda il personaggio interpretato da Michael Caine nel film Trappola mortale, con la regia di Sidney Lumet.
Intorno al vecchio romanziere, ruota un formicaio di figure ambigue, tutte splendidamente caratterizzate, tra cui i due figli, Micheal Shannon e Jamie Lee Curtis, dalle personalità diametralmente opposte: tanto inetto e subdolo il primo, quanto spavalda ed emancipata la seconda. E poi la nuora fricchettona (Toni Collette), il genero fedifrago (Don Johnson), il nipote scapestrato (Chris Evans): ognuno con un movente per il presunto delitto.
L’ipocrisia generale travolge il volto delicato della cubana Ana de Armas (già apprezzata in Blade Runner 2049), raggio di luce in un covo di vipere, ma non così ingenua come si potrebbe pensare.
Quindi – una spanna sopra tutti gli altri – troviamo il fenomenale Daniel Craig, nei panni di Benoît Blanc. In lui confluisce la summa di molti detective letterari e cinematografici, da Dupin a Poirot, dei quali Benoît eredita il lucido raziocinio, la melliflua eleganza, nonché certi dettagli formali come il nome francese. Ma la sua figura esaspera quelle stesse caratteristiche stereotipate. Talora l’investigatore si perde in una serie di discorsi contorti, oppure, distratto dalle proprie elucubrazioni, si lascia depistare durante l’indagine. Senza che il suo ruolo, alla fine, esca davvero disinnescato: pur giocando con se stesso, Knives Out non tradisce il genere di appartenenza, e Benoît, devoto al mistero, incarna perfettamente questa duplicità.
Emanuele Arciprete
CENA CON DELITTO – KNIVES OUT
Voto: 7,5/10
Anno: 2019
Paese di produzione: Stati Uniti d’America
Regia e sceneggiatura: Rian Johnson
Fotografia: Steve Yedlin
Montaggio: Bon Ducslay
Musiche: Nathan Johnson
Scenografia: David Crank
Costumi: Jenny Eagan
Interpreti: Daniel Craig, Chris Evans, Ana de Armas, Jamie Lee Curtis, Michael Shannon, Don Johnson, Toni Collette, Katherine Langford
Genere: Giallo