«Dio non fa errori. Per questo è Dio.»
«Secondo me ne fa. Se prendi una cellula, e aggiri il limite di Hayflick, previeni l’invecchiamento. Significa che la cellula non invecchia più, diventa immortale. Si divide in eterno e non muore. L’invecchiamento non è un processo naturale, ma un errore genetico.»
In questo scambio di battute è racchiuso il senso del film Annihilation, diretto dal britannico Alex Garland, già sceneggiatore per Danny Boyle di due notevoli pellicole (28 giorni dopo e Sunshine), qui alla seconda esperienza registica dopo l’ottimo Ex Machina (2012).
Il soggetto della storia proviene dall’omonimo romanzo di Jeff VanderMeer, primo capitolo della trilogia dell’Area X. Lo stesso Garland ne ha curato la sceneggiatura.
Partendo dal titolo, in italiano è rilevabile una sorta di ambiguità.
La parola “annientamento” suggerisce subito un’immagine di distruzione, di aggressione, di cancellazione violenta: il principale campo semantico è quello bellico, dove il termine viene associato, ad esempio, a un’invasione nemica.
Questa circostanza sembrerebbe essere la stessa del film.
Ma l’interpretazione è destinata a rivelarsi poco persuasiva. Il vocabolo inglese “Annihilation” mantiene al proprio interno la radice latina “nihil”, mentre la versione italiana, da “niente”, subisce la mediazione del francese antico “neiènte” (la cui etimologia appare incerta, forse con la contrazione di “ne inde”, “nec entem” o “ne gentem”).
Ebbene, qui poggia una differenza sostanziale: l’etimo latino presenta una sfumatura più generica, meno materiale, quasi ontologica. Cosicché la parola inglese assume sottilmente il senso di “riduzione al nulla”, che in italiano equivale ad una sorta di “annichilimento” non unicamente sensoriale.
Un passaggio da uno stato di essenza ad uno di sprofondamento – dunque di trasformazione – del sé: tradizionale idea religiosa tipicamente orientale. Sulla base di questa discrepanza del significato, ci è possibile illuminare certe metafore del film che altrimenti rischiano di essere banalizzate o fraintese, e si può anche tornare all’argomento iniziale dell’errore genetico.
L’intera vicenda ruota intorno ad una zona misteriosa dove, in seguito al precipitare di un meteorite, avviene un mescolamento di geni, con conseguenti epidemie tumorali e mutazioni incontrollate dalle sembianze talora multiformi e variopinte, talora mostruose e terrificanti, che coinvolgono piante, animali e uomini.
Proprio il tumore si afferma come il grande antagonista della storia, almeno fino a poco prima della conclusione, quando la sua essenza maligna si scopre essere frutto di una volontà cieca e forse inconscia, pressoché vicina al divino: se l’evoluzione poggia in primis sugli errori genetici, tra i quali va annoverato anche il tumore, tutto finisce col diventare un enorme esperimento condotto dalla natura medesima.
Ogni inceppamento, ogni anomalia, ogni difformità assume quindi il valore di uno stadio intermedio, una tappa necessaria in un flusso di tentativi, molto spesso mal riusciti, di modificare l’ambiente. Se ne deduce l’essenza imperfetta e immanente della forza creatrice, partecipe della stessa trasformazione generale. Quasi un “deus sive natura”, potremmo dire, col solo dono dell'(auto)modellazione: uno dei tanti demiurghi, alla deriva sopra stelle e meteore, da cui occasionalmente si esala la vita. Atto, questo, che non è creazione ex novo, bensì ennesimo rimescolio di carte. Del resto, come c’insegna Lavoisier, “nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”.
Ed ecco spiegati i vari riferimenti alla circolarità e alla ripetizione.
Se alcune inquadrature vengono recuperate, rispettivamente all’inizio e alla fine, con lievissime differenze, ancor più evidente risalta l’immagine dell’ uroboro che, raffigurato dapprima sul polso della compagna di viaggio (Gina Rodriguez), ricompare poi sul braccio della stessa protagonista (Natalie Portman) nel progressivo assorbimento delle varie informazioni, genetiche e non, rimbalzanti all’interno dell’Area X.
In modo analogo, senza troppo forzare la narrazione fantascientifica, è possibile estendere l’impianto interpretativo all’ evoluzione esistenziale vissuta dalla donna, biologa e professoressa, attraverso un trauma di natura coniugale e sentimentale.
I vari flashback avvalorano questa lettura; e così l’ultima scena, coi protagonisti stretti in un abbraccio quasi fraterno, mostra il compromesso che due individui devono accettare se intendono superare una crisi, e cioè l’esatto momento in cui entrambi, sopravvissuti alla catastrofe, appaiono mutati, in un certo senso sdoppiati rispetto al passato: la loro comune esperienza funge da fattore di coesione. E si capisce perché gli altri personaggi femminili, tutti portatori di un’indelebile tragedia, si abbandonino invece alla sconfitta e alla rovina, non sapendo né volendo reagire al dolore di un lutto o di una malattia.
Eppure la vaghezza, tanto sostenuta dai toni metafisici ed enigmatici, quanto da una raffinata impalcatura estetica, costituisce anche il principale punto debole di Annihilation, a causa di una struttura eccessivamente rarefatta, durante la prima metà del film, e a causa di uno spessore filosofico che forse andava adeguatamente rimpolpato.
Spicca comunque la ricchezza di omaggi allo Stalker di Tarkovskij, la cui presenza si propaga dall’inizio alla fine come una radiazione di fondo, insieme ad altri ammiccamenti cinematografici, tutti di grande gusto: da Apocalypse Now a 2001: Odissea nello Spazio, da La cosa a L’invasione degli ultracorpi.
Alcune sequenze turbano con improvvisa efficacia (il terribile urlo umano emesso dalle fauci dell’orso, ad esempio, suona a dir poco agghiacciante, almeno nella versione originale del film); mentre è decisamente suggestivo il lavoro alle scenografie dell’Area X, valorizzate da una fotografia verdognola e bluastra, di gusto lovecraftiano, in una continua alterazione che sembra riverberare attraverso un prisma repellente e strabiliante.
Nessun passo falso, dunque. Con Annihilation Garland s’inoltra nell’area esplorativa da sempre posta al centro delle indagini fantascientifiche. Parlare dell’universo e dei misteri in esso racchiusi, infatti, significa parlare del destino, vicino o lontano, luminoso o indecifrabile, che attende ciascun essere vivente. Incluso – e forse più degli altri – l’uomo.
Emanuele Arciprete
ANNIHILATION
Voto: 7/10
Anno: 2018
Paese di produzione: Stati Uniti, Regno Unito
Regia e sceneggiatura: Alex Garland
Soggetto: Jeff VanderMeer
Fotografia: Rob Hardy
Musiche: Geoff Barrow, Ben Salisbury
Scenografia: Mark Digby
Intepreti: Natalie Portman, Jennifer Jason Leigh, Oscar Isaac, Gina Rodriguez, Tessa Thompson, Tuva Novotny, Benedict Wong, David Gyasi
Genere: Fantascienza