Sono trascorsi due anni da quando la rappresaglia dei Ciangretta si è abbattuta sulla famiglia Shelby, con effetti dolorosi e imprevisti. Due anni dalla difficile vittoria della gang di Birmingham. Due anni dall’elezione di Thomas (Cillian Murphy) in Parlamento, tra le fila del Labour Party.
E alcune minacce, finanziarie e politiche, mettono nuovamente in difficoltà i Peaky Blinders.
È il 1929. Per l’esattezza il 29 ottobre, un martedì: il cosiddetto Black Tuesday, giorno che rimarrà impresso nella storia del Novecento, poiché legato al fatale crollo di Wall Street. Piccoli risparmiatori e grandi imprenditori vedono i propri soldi, indistintamente, polverizzarsi all’improvviso. Tra loro, anche i Peaky Blinders, ai quali tocca recuperare l’ingente perdita. Ma il problema risale più in alto di quanto si creda, e conduce dritto alla Camera dei Comuni, dove un’ambigua presenza siede nella penombra. Si tratta di Oswald Mosley (Sam Claflin), il futuro fondatore dell’Unione Britannica dei Fascisti.
La serie, creata da Steven Knight, ha sempre lasciato che la fosca violenza del quadro storico parlasse da sola. Ora, invece, cambia qualcosa: ci è possibile percepire una sfumatura etica negli eventi narrati, e i ragazzacci di Birmingham, nonostante le palesi contraddizioni, giungono a incarnare una polarità positiva. Ma l’obiettivo non è la redenzione. Semmai si scopre una paradossale gerarchia all’interno del male.
D’altra parte, sarebbe ingenuo non cogliere il valore simbolico assunto da queste figure.
Benché incline ad assecondare chiunque agevoli le sue ambizioni, stavolta Thomas non può nascondersi dietro la solita indifferenza calcolatrice. Il mostro del Fascismo gli sbatte in faccia l’estraneità delle origini razziali. Un’estraneità che il mondo ha sempre contribuito a ricordagli durante la lunga scalata sociale dei Peaky Blinders. Come la stessa comunità ebraica, infatti, anche la famiglia Shelby appartiene a una minoranza in pericolo: l’etnia zingara. I lager nazisti sono dietro l’angolo, pronti ad accogliere entrambe le categorie di prigionieri. Quasi c’è da sperare che la serie, durante l’ultima puntata, adotti una tecnica tarantiniana di riscrittura del passato. Ma a Peaky Blinders non interessa l’ucronia.
Il trauma storico colpisce i personaggi quando appaiono più disgregati: se Thomas è vittima delle crescenti paranoie, Arthur (Paul Anderson) sconta le conseguenze della propria cruda aggressività; mentre Micheal (Finn Cole), con l’insolenza tipica della gioventù, subisce il ripudio da parte dei familiari, inclusa la madre Polly (Helen McCrory). Quest’ultima, insieme alle altre figure femminili, resta alquanto defilata, muovendosi unicamente sul piano sentimentale.
In compenso, la serie brucia nuovo carburante, che consente di evitare il ristagno e i cliché di cui soffriva la quarta stagione. Aumentano le acrobazie delle cineprese; la fotografia si fa desertica ed esangue. E soprattutto: niente mafiosi da barzelletta, bensì un degno antagonista, infido e magnetico, dall’ombra smisurata. Mosley gioca a emulare Mussolini (Hitler non è ancora salito al potere), ma come ogni contraffazione, si rivela più grottesco dell’originale. La Storia, d’altronde, tende a ripetersi sempre due volte: la prima come tragedia, la seconda come farsa.
Emanuele Arciprete
PEAKY BLINDERS – QUINTA STAGIONE
Voto: 8/10