Ci mette tutto sé stesso, Gennaro Cimmino in Vivianesque, come voler dire che Raffaele Viviani sia talmente presente nelle idee creative e di vita del coreografo, da poter essere percepito persino nelle parole della madre del direttore di Körper, che fanno da augurale apertura della pièce, in scena dall’ 8 novembre al Teatro Politeama di Napoli: «Verimm’ si sta barca s’imbarca».
E la barca, anzi, il veliero, se l’immagine di panni stesi di una Napoli non oleografica, può rimandare ad un solido natante, dai tratti antichi ma capace di affrontare procellosi flutti, salpa e si affida ad un nocchiero sensibile e coraggioso come Gennaro Cimmino.
“Vivianesque” è frutto del progetto di formazione/lavoro “Abballamm’!” ideato da Laura Valente, iniziato nel 2016 al Ravello Festival con nomi/numi come Dimitris Papaioannou, Marie Chouinard e Bill T. Jones.
Il progetto avvia al lavoro ben 26 giovani professionisti, scelti tra i migliori della Campania ed è curato da KÖRPER diretto da Cimmino che, a proposito di Raffaele Viviani afferma: «Da ragazzo studiavo teatro e danza contemporanea, già allora, leggendo i testi di Viviani, mi sorprendeva l’attualità degli argomenti da lui trattati, quell’attenzione al sociale e agli esclusi, agli ultimi»
Ed è ad un affresco di popolo escluso eppure protagonista, come nell’ossimoro narrativo centrale nella drammaturgia dell’autore stabiese, quello che si presenta allo sguardo dello spettatore con il quale dialoga la videoinstallazione di Alessandro Papa con il disegno luci di Gianni Netti, le scene di Ciro Rubinacci e i costumi di Concetta Iannelli.
Una disamina a parte meritano le musiche che, pure così rilevanti nella produzione vivianea, vengono destrutturare e dilatate in procedimento per “aumentazione” da Vito Pizzo, che firma anche le musiche originali; protagonista nel canto quanto e forse ancor più che nella recita-azione è una Lalla Esposito infusa di linfa vivianea che si immagina come una Sirena Partenope, capace però di sopravvivere al tuffo in mare suicida in ragione di qualità di apnea che rivela e scopre essa stessa nell’atto estremo; trattiene il fiato, ma riemergendo è pronta a raccontare la città di Napoli, i suoi veri protagonisti: prostitute che sanno amare, muratori, mogli sotto le carceri, pescatori, adolescenti travolte dalla vita, ma capaci di je accuse di dignità.
L’idea coreografica di Cimmino appare come un assemblaggio di quadri, dove emergono senza veli e maschere esercizi dell’allenamento creativo dei danzatori/performer, con citazioni di immagini coreografiche da Bob Fosse a Montalvo.
La stessa scrittura coreografica è un assemblaggio di proposte dei singoli danzatori, “orcheografate” – montate in un’ unica narrazione.
La coreografia appare come la creazione per un’unica coppia di danzatori o soli moltiplicata per più corpi, che possono in alcuni momenti esprimere le proprie variazioni sulla tematica del quadro coreografato, portare all’eccesso o crogiolarsi nel proprio gesto privato del significato/significante, entrare in relazione dinamica col gesto danzato dell’altro o essere un eterno soliloquio.
Un movimento danzato teso ad esprimere l’ancestrale moto dell’uomo al suo scorrere del tempo, amore/morte, contrasto, clan indistinto di ammasso di esseri pronti a seguire ed eseguire l’ordine imposto dalle volontà altre/alte.
E alla fine, navigando tra immagini di guerra, d’amore e di morte, il pensiero viene accompagnato da Cimmino come in una riflessione danzata, verso le tragedie cui il mare assiste impotente come nelle parole dell’amaro chiasmo vivianeo: «’N tiempo ‘e pace ‘e marenare: figlie ‘n terra e varche a mmare/’N tiempo ‘e guerra, juorne amare:varche ‘n terra e figlie a mmare.»
Tonia Barone