Il Massimo napoletano riprende la stagione operistica, con la coda autunnale, riportando in scena l’allestimento di Traviata a firma di Lorenzo Amato, con le scene di Ezio Frigerio e i costumi di Franca Squarciapino.
La recita di sabato 21 settembre alle ore 19 ha visto cimentarsi in scena il secondo cast: Maria Mudryak è stata una Violetta di notevole intensità drammatica e appropriata presenza scenica, la caratteristica del timbro lievemente tagliente in acuto ha opportunamente donato un che di evocativo e melanconico al suo personaggio: centri sicuri, acuti brillanti e sensibilissimi filati. L’aria “Addio del passato” è risultata, nel tentativo del soprano di fare colore, lievemente calante nei passaggi più drammatici in cui la voce è completamente scoperta, imprecisioni scusabili nella cabaletta.
Imbarazzante la prova del tenore Alessandro Scotto Di Luzio, evidentemente in serata negativa, sovrastato e a tratti travolto dall’orchestra, il cantante aveva interrotto il contatto con il proprio fiato non riuscendo a reggere una tessitura che superasse la quinta linea del pentagramma senza sollevarsi completamente dall’appoggio, questo con esiti piuttosto bizarri per il suono che ha assunto, di volta in volta, colori e vibrazioni improprie, tali da sconcertare qualche spettatore.
Ottimo e pienamente convincente Alessandro Luongo a ricoprire il ruolo di Giorgio Germont, il baritono ha messo in evidenza buona tecnica vocale e maturità interpretativa. Adeguata l’Annina di Michela Petrino. Non ha brillato la Flora Bervoix di Candida Guida, che, verosimilmente nel tentativo di troppo caratterizzare il personaggio, ha, a più riprese, stretto i suoni smarrendo la qualità del suono di cui pure è dotata. Scenicamente vincente il Gastone di Lorenzo Izzo. Buoni i comprimari: Roberto Accurso (il barone Douphol), Nicola Ebau (il marchese d’Obigny), Francesco Musinu (il dottor Grenvil), Mario Todisco (il servo di Violetta), Sergio Valentino (Un domestico di Flora), Giuseppe Scarico (un commissionario).
La scelta di Stefano Ranzani è andata nel senso di una direzione intimistica e compassata che, perfettamente in linea con la regia, ha pertanto confermato allo scrosciare incessante ed ininterrotto per tutti e tre gli atti, della pioggia in scena, il suo significato di premonizione, di tragedia annunciata. Sotto la sua bacchetta l’orchestra ha gradualmente conquistato maggiore coesione fino a momenti di assoluto equilibrio. Ottima la prova dei ballerini e del coro, preparato da Gea Garatti Ansini.
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