La «Gentilezza militante» del maestro Ezio Bosso approda alle 21 del 30 agosto sul palco di Villa Matarazzo di S. Maria di Castellabate (SA), con un concerto in cui il comunicativo direttore condurrà l’Orchestra Filarmonica Salernitana, nell’ambito della rassegna Camera in Tour a cura della Camera di Commercio di Salerno.
«Il programma, che ho presentato anche all’Aperia di Caserta, rappresenta una metafora di viaggio che parete dalla Mitteleuropa delle Danze Ungheresi n. 1 en.5 di Brahms per raggiungere l’America della Sinfonia dal Nuovo Mondo di Dvoràk e tornare nell’Europa del Bolero di Ravel» ha dichiarato Bosso alla stampa, quando ha parlato di «Gentilezza militante contrapposta all’arroganza»
Un programma in cui la danza è centrale, come il direttore ha sottolineato, osservando come però il Bolero di Ravel sia una “danza non danza” essendo riferita a canti di lavoro, forse consolatori, ma certamente di dignità umana.
Le Danze Ungheresi furono composte da Brahms per pianoforte a 4 mani e ancora oggi sono eseguite frequentemente da quell’organico, tuttavia per una strana sorte, oggi esse vengono immaginate come riduzioni pianistiche delle versioni orchestrali, realizzate in prevalenza dallo stesso autore, le quali, invece, sono successive.
La “Sinfonia n. 9 in mi minore, op. 95, “Dal Nuovo Mondo”” è una pagina composta nel 1893 da Dvoràk durante il suo triennale soggiorno negli Stati Uniti.
L’appellativo, e la trraduzione in italiano rende giustizia: “dal” Nuovo Mondo e non “del” o “al”; troppo legato alle scuole nazionali europee era l’autore per esprimere sia una dedica reverente che rivelare un’appartenenza geografica delle ispirazioni.
Se è vero che sincopi incisive, motti di ottoni e incedere di archi a suggerire cavalcate da epopee di colonizzatori, ciò che resta impresso nella memoria dell’ascoltatore è il sapore afroamericano del primo movimento e soprattutto la desolazione del funerale pellerossa dell’incantevole largo, intonato dal corno inglese, ironia di un’errata traduzione che trasformò un oboe angolato in un corno inglese, nazionalità dei colonizzatori colpevoli, in un colpo solo, di un genocidio e di una deportazione di massa.
L’esaltazione dionisiaca del ritmo e una prova di sapienza di orchestrazione senza pari è il celebre Bolero di Ravel, creato per la danzatrice Ida Rubinstein , ma divenuto icona musicale di sensualità, di eros spinti fino al limite in cui sentimento, sensi e passione diventano carne.
Ezio Bosso ama la Campania e le sue presenze in un anno non si contano più sulle dita di una mano, ma ha il rimpianto di non essersi, ancora, esibito a Napoli, città da cui provengono migliaia di suoi fan, molto dei quali lo hanno, suo malgrado, eletto a simbolo di impegno contro le difficoltà della vita, a dispetto dei pregiudizi, delle vigliaccherie delle facili rese e delle bieche regole dell’apparire.
Così si è espresso Ezio Bosso qualche mese fa, ritirando il premio PulciNellaMente: «Sono come Davide contro Golia, i veri giganti sono i grandi compositori le cui musiche mi impegno ad interpretare, io sarei un metro e ottanta, in piedi, ma faccio musica seduto».
Raffaella Ambrosino