In un programma ricco affidato a organici orchestrali amplissimi, il pubblico italiano che siederà sugli spalti del Belvedere di Villa Rufolo alle 19,30 del 23 agosto, per il Ravello Festival, coglierà la citazione di una delle più celebri canzoni napoletane.
Le note di “Funiculì , Funiculà” di Luigi Denza, infatti, sono riprese e rielaborate nel la Fantasia sinfonica op.16 di Richard Strauss “Aus Italien”, una ver e propria musica a programma su un diario di viaggio che fa tappa “Nella campagna” e poi “Presso le Rovine di Roma” fino a “Sulla spiaggia di Sorrento” e a dare voce alla “Vita popolare a Napoli”.
La suggestiva pagina straussiana, insieme l’“Ouverture in do diesis minore per orchestra” di Giovanni Salviucci, sarà eseguita dall’ Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi diretta da Claus Peter Flor.
Lo stesso autore tedesco precisava che la sua fantasia non avesse intenti descrittivi, ma che in essa fossero trasfigurate suggestioni «scaturite dalla vista delle magnifiche bellezze naturali di Roma e di Napoli, e non dalla loro descrizione».
Il brano, composto nel 1886 ebbe la prima esecuzione, sotto la direzione dell’autore, l’anno successivo a Monaco, accolto con reazioni disomogenee.
Il primo quadro, «La campagna romana» afferma le intenzioni poetiche dell’autore che apre con un tempo lento e che romanda a immagini di quei prati intorno alla nuova capitale italiana che nei primi decenni unitari avevano un aspetto assai diverso dall’attuale e su cui dominava per imponenza e isolamento dal contesto urbano, la cupola di San Pietro, la cui immagine musicale, dopo un lungo incedere di armonie vuote e di alternanze maggiore-minore, dona una sospirata calda luce al discorso musicale.
La Città Eterna è riccamente rappresentata in «Tra le rovine di Roma», in cui alla retorica di una Caput Mundi, siamo mezzo secolo prima dell’avvento del nazismo, si sovrappone una sottile nostalgia, sentimento che vene preso soppiantato dalla brillantezza di «Sulla riviera di Sorrento» città da sempre amata e cantata dai musicisti, tavola in cui il profumo musicale degli agrumi, le ripidità delle coste a picco, e l’ondeggiare del mare che rimanda ad un mozartiano “Soave sia il vento” danno vita alla trasposizione in musica di un paesaggismo della Scuola di Posillipo da Pitloo a Giacinto Gigante fino ai fratelli Palizzi.
La Napoli vista con gli occhi di un turista, oleografica, allegra a dispetto dei dolori, delle tragedie, della dignità di capitale sottrattale, domina in “Vita popolare a Napoli”, in cui la celebre melodia viene elaborate in strutture politematiche e variata.
Giovanni Salviucci, cui spetta l’onore di rappresentare l’Italia nella locandina odierna, ha avuto una brevissima vita, essendo nato nel 1907 per terminare i giorni a soli 29 anni nel 1936; il so stile inserisce tratti espressionisti su architetture di contrappunto severo, secondo quei canoni del sinfonismo italiano che si ritrovano in Respighi e prima ancora erano stati di Martucci.
La breve vita di Giovanni Salviucci, allievo di Respighi e di Casella, non impedì al musicista romano di affermarsi come uno dei massimi esponenti di un mai abbastanza valorizzato sinfonismo italiano del novecento.
La tragica brevità del passaggio terreno di Salviucci non giustifica la velocità dell’oblio delle sue coltissime opere se non alla luce delle tenebre del “ventennio” e dell’approssimarsi del secondo conflitto mondiale, periodo in cui la musicologia italiana non è stata propensa, disposta, ovvero libera, di percorrere e proporre sottili e complessi scenari sonori sinfonici, che sarebbero stati sopraffatti da tronfie fanfare, inni nazionalisti e canzonette razzista di esaltazione di presunte virtù italiche.
Giovanni Salviucci non fece in tempo a conoscere il culmine della tragedia e oggi, meritatamente, le sue opere si riaffacciano nei programmi delle maggiori istituzioni.
Raffaella Ambrosino