Il concerto svoltosi all’interno del Ravello Festival sullo splendido belvedere di Villa Rufolo, la sera del 18 agosto, ci ha offerto un’immersione nella musica sinfonica del primo Novecento attraverso due suoi significativi rappresentanti: Gustav Mahler e Alfredo Casella.
L’Orchestra giovanile italiana diretta da Jérémie Rhorer ha proposto infatti un programma basato sul legittimo accostamento di autori di appartenenza geografica e culturale differente eppure accomunati dal periodo storico, dalle sue inquietudini, da una fase critica e feconda della storia della musica in cui gli artisti metabolizzano, elaborano, rigettano o rivisitano il linguaggio del passato alla ricerca del nuovo, masticando detriti ed ambiti da cui possa sgorgare in qualche modo una precipitazione chimica che sia altro ma non svincolato da ciò che si è attraversato.
Significativamente, nel solco dell’indirizzo scelto dal direttore artistico Paolo Pinamonti per l’attuale edizione del Ravello Festival 2019 teso a dare risalto al dialogo della composizione italiana con la musica europea, soprattutto in ambito novecentesco, sono stati così proposti all’ascolto l’Adagio dell’incompiuta Decima Sinfonia di Malher e la Sinfonia in do minore op.12 di Alfredo Casella, uno dei capostipiti della rinascita strumentale italiana del primo Novecento, grande ammiratore del compositore boemo di adozione viennese, della cui musica fu anche convinto divulgatore in Italia e Francia.
Il giovane complesso orchestrale si è distinto per la nitidezza del suono, il calore espressivo, il perfetto tempismo ritmico, docile alla guida elegante e lucida del direttore francese che nel procedere frammentato e sincretistico della musica malheriana ha tracciato percorsi, amalgami, tensioni, in una coesione stilistica superiore, rendendo tutto il fascino della pagina proposta.
Dall’esordio recitativo e profondo delle sole viole l’asimmetrico discorso sonoro è cresciuto attraverso l’apporto delle diverse sezioni e dei singoli timbri strumentali, ottimi i fiati nella compagine dei legni e degli ottoni, così come gli archi capaci di tracciare onde sonore morbide e flessuose e le incisive percussioni. Dalla rarefazione del suono alle esplosioni drammatiche della sonorità come quella lacerante affidata al corale degli ottoni verso la conclusione, è emersa una vasta gamma di espressioni, rendendo pienamente quella sorta di “flusso di coscienza” tipico della musica di Malher così oscillante tra struggente dolcezza e angoscia.
Altro vigore è invece emerso dalla Sinfonia di Casella, pure suggestionato dalla ricchezza timbrica e dalla novità dell’invenzione malheriana, ma maggiormente incline al costruttivismo e a un’idea geometrica, alla contrapposizione e giustapposizione di effetti timbrici e ritmici (fa pensare tra l’altro a Busoni o a Stravinskij), in un misto di forma classica, eccentricità e fragori.
Coinvolgente è risultata l’esecuzione dei quattro movimenti più epilogo di questo vasto lavoro che ci conduce da un incipit impressionante, cupo e solenne con timpani, tam tam, grancassa e campane in primo piano, all’energico Allegro con tema sincopato di nuovo incorniciato dal ritmo grave dell’inizio in una successione di effetti sonori in cui è emersa la bravura dei singoli strumentisti e delle diverse sezioni, il basso tuba, i corni e gli ottoni in genere, emergendo in particolare i suoni gravi, anche dei legni (fagotto e controfagotto), tra cui agognati e precisi risultano gli squarci di luce e di melodiosità degli archi. Incalzante la direzione di Rhorer nel rendere il ritmo esuberante del brillantissimo secondo movimento Allegro, molto vivace, dal colore solare e popolareggiante salvo ripiegare, dopo le fanfare dei fiati, verso l’aspetto maliconico della melodia introdotta dai corni seguiti dagli archi su un ritmo ‘tzigano’, prima della ripresa della sezione iniziale, con la sua energia che cresce su stessa. Del terzo movimento Adagio, quasi andante il complesso orchestrale ha reso suggestivamente il carattere struggente della melodia “aperta” che passa attraverso tutte le divisioni orchestrali in attento reciproco ascolto, offrendo momenti di sospensione ed incanto.
L’incisività ritmica ha ripreso il sopravvento nel Finale, in tempo di marcia ben risoluto, con fuoco, il cui cadenzato ritmo marziale iniziale si incupisce ben presto in un carattere funebre, prima del parossismo sonoro conclusivo nel quale resistono frammenti e incisi tematici della marcia dell’esordio. Il tutto finisce per sfociare nell’Adagio mistico dell’epilogo, col suo assunto a programma tratto dal Purgatorio dantesco, accennando al lasciare dietro di sé “…mar sì crudele”, in un anelito mistico, reso dalla giovane e dotata orchestra con grande tensione nel calibratissimo disegno espressivo.
Meritati applausi ad un concerto di valore anche per l’occasione offerta di un ascolto ad alto livello di pagine troppo poco eseguite.
Rosanna Di Giuseppe