E grazie al Settecento, con Cimarosa, si riduce lo spread musicale a Ravello, pur in una sfida titanica con W.A.Mozart.
La metafora borsistica, usata anche in funzione liberatoria, vuole rappresentare una sorta di andamento di titoli, musicali magari, nel confronto tra la musica del mondo con quella italiana, che il Festival di Ravello ha voluto si ingaggiasse.
Ebbene, se nelle precedenti occasioni la brevità del brano italiano e la sua collocazione storica non hanno evidenziato quanto i nostri talenti meritassero, complici confronti tra composizioni incantevoli, ma di breve respiro, e articolati e lunghi atti operistici wagneriani, la sera del 14 luglio gli equilibri si sono posizionati ben diversamente.
Sul palco del Belvedere di Villa Rufolo si è disposta l’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini, una creatura curata e persino coccolata dal suo fondatore Riccardo Muti, e ha aperto un’apprezzata esibizione con l’Ouverture di “Il matrimonio segreto” di Domenico Cimarosa, sotto la direzione di Jean Efflam Bavouzet, cimentatosi con buon esito anche in veste di pianista.
Il raffronto con i restanti brani, pur se partoriti dalla mente di un genio come Mozart, non ha penalizzato la pagina del musicista aversano, al contrario evidenziando da un lato la raggiunta classicità della Scuola Napoletana dominatrice anche nell’Europa di fine Settecento, e dall’altro il debito cui nemmeno i geni si sottraggono, del musicista salisburghese nei confronti di uno stile operistico italiano, evidente non solo nella deliziosa Ouverture di “Le nozze di Figaro”, come è pacifico attendersi, quanto anche nei due poderosi Concerti per pianoforte e orchestra K 449 in mi bemolle maggiore e K 466 in re minore, nei quali la cantabilità italiana dei tempi centrali risulta racchiusa tra movimenti esterni dal gusto teatrale di nitida ascendenza napoletana.
L’attenzione riservata ad essi, primo fra tutti da Beethoven, affascinato dal tema sincopato del K466, testimonia il pregio di quelle pagine mozartiane già percepito pochi decenni dopo.
Lo stesso Cimarosa, insieme con Paisiello sono stati, per diretta ammissione del genio, i modelli cui Mozart si era ispirato, soprattutto nel campo del dramma giocoso.
La Cherubini, pur essendo una formazione giovanile e, per questo, costretta a rapido turn over, possiede una propria personalità timbrica, costruita nel corso delle ripetute e meticolose sessioni di prova sotto la magistrale guida del suo fondatore, un direttore che sa valorizzare formule, stilemi e armonie “napoletane” presenti anche in repertori generati apparentemente assai lontano dal Vesuvio, e nel contempo sa ricercare quell’apollineo della forma capace di dare vita al dionisiaco dei contenuti.
Il fraseggio degli archi è quasi da Violinschule di Leopold Mozart, fatte salve quelle eccezioni invalse nei decenni per far fronte ad esigenze di maggiori volumi richiesti; certo lo strumentario è moderno, quanto moderno può essere un arco nella forma e dimensioni assurte a riferimento della Scuola di Cremona di Stradivari, Amati, Guarneri, con le aggiunte di accessori quali mentoniere, spalliere e il montaggio di corde di metallo poste in vibrazione da archi di foggia ottocentesca.
Il gesto direttoriale di Bavouzet è più sentimentale che chironomico-ritmico, pur vantando, il pianista bretone, un apprendistato direttoriale niente meno che con Georg Solti; la Cherubini si rivela efficace, grazie anche ad un primo violino disciplinato e attentissimo.
Al pianoforte, il musicista francese sa essere elegante, esibire un bel legato ottenuto con quelle micro-rotazioni del polso e con le indispensabili, su uno strumento a corda percossa, dinamiche in diminuendo; Mozart era ovviamente consapevole della ricchezza della tavolozza dello strumento quanto dei vincoli dinamico-fraseologico e al di sopra di essi il genio creativo si è stagliato donandoci melodie cantabili che, affidate a mani sapienti, sanno fare dimenticare tutto il complesso meccanismo di martelli, smorzatori e scappamenti di cui il pianoforte si serve.
Applausi convinti e, onorando la festa nazionale francese del 14 luglio, Bavouzet ha concesso un primo bis con “Feux d’artifice” di Debussy, con tanto di citazione della “Marsigliese”, che , non ce ne vogliano i cugini transalpini, è dell’italianissimo Viotti.
Foto Izzo