Il tempo sembra essersi fermato nella dimora sulla collina di Nagasaki, l’atmosfera è sospesa, il letto al centro della scena, memore di un amore consumato, calamita l’attenzione e le imposte sono dischiuse a far correre lo sguardo a perdita d’occhio verso l’orizzonte. Nella camera da letto di Butterfly il silenzio è assordante, l’Obi rosso delle nozze campeggia in bella mostra come un sacro simulacro, una presenza muta ed ingombrante, come un fantasma che aleggia sulle teste degli astanti.
L’evidenza taciuta è imbarazzante e la giovane geisha continua a contare le nidiate del pettirosso nell’attesa dell’oramai improbabile ricongiungimento, ben tre anni sono trascorsi dal giorno dell’addio e la situazione finanziaria, tra le altre cose, comincia a farsi preoccupante.
Ma la signora Butterfly in Pinkerton mostra un’incrollabile fede connessa alla sua voglia di riscatto e si rifiuta di accettare l’onta dell’abbandono ed il ripudio affidati ad una lettera: «Da quel tempo felice tre anni sono passati… E forse madama Butterfly non mi rammenta più. – Non lo rammento? Suzuki dillo tu. Non mi rammenta più!».
Domenica 26 maggio, alle ore 17, sul palcoscenico del teatro San Carlo di Napoli, l’attesissimo allestimento di Ferzan Ozpetek della tragedia giapponese della piccola geisha Cio Cio San, ha fatto registrare il sold out e ha raccolto un calorosissimo successo. La sala gremita ha seguito con trepidante coinvolgimento le vicende della coraggiosa Butterfly cui Amarilly Nizza (nella foto) ha dato voce dal timbro brunito, ottimi volumi, perfetto fraseggio e presenza scenica carismatica da artista a tutto tondo.
Nei panni di F. B. Pinkerton il tenore Luciano Ganci ha reso ottimamente la volontà della regia di riscattare, in qualche modo e per quanto possibile, il giovane tenente della marina statunitense dalla consueta lettura di yankee impenitente e senza scrupoli. Sicurezza granitica ma morbidezza della linea di canto, volume e bel timbro lirico, efficacia interpretativa: promosso a pieni voti. Marco Filippo Romano è una garanzia di professionalità, l’ottima tecnica vocale, la disinvoltura scenica e la maturità interpretativa hanno reso onore alla statura morale ed emotiva del console Sharpless, cui è affidato l’amaro disvelamento, chiave di volta della vicenda. Convince meno, per la verità, la Suzuki di Alessandra Visentin, il mezzosoprano ha un bel colore ma volumi risicati e, il tentativo di camuffare e girare la voce con troppo artifizio, non giova certo alla sua causa, tanto che nel duetto col soprano è risultata spesso sopraffatta. In questa prospettiva registica Goro è personaggio oltremodo ambiguo e velenoso, insieme a lui serpeggiano il dubbio e la maldicenza, Massimiliano Chiarolla è stato assolutamente all’altezza della prestazione. Più che convincente anche lo zio Bonzo di Luciano Leoni.
A completare il cast: il languido Principe Yamadori di Paolo Maria Orecchia, la diafana bellezza occidentale in tailleur di Mrs Pinkerton/Rossella Locatelli, il commissario imperiale e l’ufficiale del registro, rispettivamente Luigi Cirillo e Sergio Valentino, la madre e la cugina di Madama Butterfly rispettivamente Giuseppina Acierno e Antonella Maria Navarra, Dolore il piccolo Alessandro Docimo.
Quattro le attrici, altrettanti alter ego della ambiziosa ma ingenua protagonista, che si aggirano con inquietudine, fino dall’ouverture, in platea e sulla scena, a seguirne l’evoluzione emotiva e la maturazione: Rita Corrado, Arianna Giannini, Roberta Siciliano, Mariachiara Vigoriti.
Dalla buca a imprimere un movimento omogeneo ed equilibrato che si estendesse al palco l’attenta e minuziosa direzione di Gabriele Ferro, sotto la sua conduzione l’orchestra ha reso ottima prova. Bene ha fatto anche il coro diretto dal maestro Gea Garatti Ansini. Essenziali ma di grande impatto le scene di Sergio Tramonti e belli i costumi di Alessandro Lai, giocati con riguardo alla protagonista sui toni del rosso seduzione e sangue. Videoritratto di Madama Butterfly sul coro a bocca chiusa a cura di Luciano Romano. Luci di Pasquale Mari.
Mariapaola Meo